Il caso Cospito? Una questione umanitaria
Il caso Cospito riguarda il diritto umanitario, la Carta dei Diritti dell’Uomo ed i sacri principi della nostra Costituzione. Volerlo affrontare con i più beceri luoghi comuni da politichetta da bar e pensare di fare assurgere questo livello del dibattito politico, propagandistico e gossipparo, a profilo dello Stato è una cosa, oltre che inaccettabile, vomitevole.
Se si voleva dimostrare che non esiste una supposta inferiorità della destra rispetto alla sinistra – benché la sinistra moderata, in questi anni, abbia fatto di tutto per omologarsi al livello più basso – questo “caso” ci racconta che è antropologicamente impossibile abbassarsi al livello della destra post-fascista italiana.
La responsabilità ed il dovere dello Stato, secondo i dettami del diritto penale, sono quelli di assicurare alla giustizia i criminali, giudicarli e condannarli ad una pena proporzionale all’efferatezza dei reati da loro commessi, fino alla pena massima dell’ergastolo (carcere a vita). In ogni caso la responsabilità dello Stato è quella di non mettere in pericolo la salute, di non esercitare violenza e tortura e di non sottoporre i detenuti a trattamenti degradanti. Nel diritto penale non è previsto di “buttare la chiave” per “vendicarsi”; e neanche di “sputare in faccia” al più sporco dei criminali. Ciò fa parte, al contrario, dei beceri luoghi comuni che animano le chiacchiere da bar: quel populismo propagandistico che non può assurgere a politica dello Stato.
Ci sono stati momenti storici in cui le emergenze di sicurezza dello Stato e dei suoi cittadini hanno indotto a forzare i sacri principi e ad ipotizzare strumenti borderline rispetto al diritto costituzionale. Strumenti opinabili e contestabili, ma sostanzialmente giustificati, anche costituzionalmente, dall’emergenza e dai motivi superiori di sicurezza nazionale. Ad esempio, il terrorismo negli anni di piombo, alla fine degli anni Settanta, indusse a provvedimenti di limitazione delle libertà: si doveva necessariamente evitare un perverso contatto fra le BR, cosiddette, e la libera e democratica conflittualità sociale. Allora non c’era il 41bis, ma per i brigatisti era comunque previsto un regime carcerario particolare e differenziato rispetto agli altri detenuti (carceri o sezioni speciali ed isolate). Poi arrivò l’emergenza della mafia stragista ed allora nacque il 41 bis. La cui funzione è quella di impedire che i boss possano continuare a dirigere le organizzazioni mafiose dal carcere attraverso le possibili relazioni con l’esterno. Nessuno può ragionevolmente disconoscere l’efficacia di questo istituto, così come l’efficacia delle intercettazioni per scoprire, ed in parte interdire, azioni criminali.
In riferimento alla lotta alla mafia, il problema non è la condivisione più o meno sofferta della necessità del 41 bis, anche se, si diceva, borderline rispetto ai principi di garanzia costituzionale; bensì è la ricorrente lunga latitanza dei boss che, nonostante scoperti processati e condannati, non vengono assicurati alla giustizia e rimangono latitanti e quindi Capi operativi della mafia per 20-30 anni. Su questo terreno dove sta la responsabilità e l’efficacia dello Stato?
Sulla base di questi presupposti incontestabili, infatti, il Presidente del Consiglio è “costretto” ad inventarsi l’emergenza-anarchici che aggrediscono lo Stato: ma questa è veramente una corbelleria grande e grossa, che prende di sorpresa anche la politichetta populista da bar, che non se n’era accorta. Una corbelleria grossa quanto quella dell’invasione degli stranieri che mettono in pericolo la razza bianca, o quanto quella di Ruby ruba cuori “nipote di Mubarak”.
Io non sono anarchico e non sono mafioso; e non ho nessuna timidezza o remora a dire che non è possibile che vengano messi sullo stesso piano. Per questa ragione, penso che Cospito non debba stare al 41 bis. Tale convinzione, oltre che derivare dai sacri principi costituzionali e del diritto umanitario, deriva anche dall’opportunità politica dello Stato di evitare che Cospito possa diventare un simbolo eversivo (ed è più probabile che possa avvenire se lui sacrificherà la sua vita in questa battaglia, piuttosto che se gli sarà precluso di scontare la sua pena da “normale” ergastolano).
Lo Stato vince per la sua superiorità morale di diritto umanitario, e di civiltà giuridica. Non per l’uso della violenza e della pratica vendicativa.
Pietro Soldini
Pubblicato il 7 Febbraio 2023