Più salari, più scioperi: ce lo chiede l’Europa
Il 16 maggio si è tenuta presso la sede della Cgil di Roma e Lazio un’iniziativa sulle lotte francesi di questi ultimi mesi, organizzata dall’area sindacale di alternativa della Cgil “Le radici del sindacato”, con la presenza di Fabrizio Potetti della segreteria Cgil di Roma e Lazio e con le conclusioni affidate alla portavoce dell’area, Eliana Como. Sono stati invitati due relatori francesi: Romain Descottes del Dipartimento Internazionale della Cgt e la compagna Marina Zuccon co-segretaria della Cgt nella Scuola Superiore di Studi Sociali, (Ehess) in collegamento da Parigi.
Dalla fine del 2022 ad oggi, in molti Paesi europei ci sono state imponenti mobilitazioni di lavorator@ sia del settore pubblico, come in Gran Bretagna, Germania e Spagna, che del settore privato contro il carovita e per l’adeguamento dei salari (Portogallo, Grecia e persino Repubblica Ceca), con anche alcune vittorie significative come in Germania. Per non parlare della Francia, paese nel quale a partire dal 19 gennaio di quest’anno lavoratrici e lavoratori si stanno mobilitando contro il provvedimento del governo Macron, che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile formale da 62 a 64 anni, oltre all’aumento degli anni di contribuzione. Già nel 2010 l’intersindacale aveva organizzato grandi manifestazioni e scioperi partecipati contro un’analoga legge voluta dal governo Sarkozy che innalzava l’età della pensione da 60 a 62 anni.
Con i compagni francesi abbiamo dialogato sulle caratteristiche di questo movimento.
E’ un movimento apparentemente sconfitto: la legge sulle pensioni è passata, anche se il Governo è stato costretto a ricorrere all’art. 49.3 della costituzione per bypassare il dibattito parlamentare, essendo incerta la tenuta della maggioranza di governo. Nonostante la sconfitta sul piano della legge, che è stata anche ratificata dalla Corte Costituzionale, le manifestazioni sono continuate e si sono allargate anche al settore giovanile e studentesco. La maggioranza della popolazione e più del 90% dei lavorator@ appoggiano le lotte e sono contrari all’innalzamento dell’età pensionabile; dunque siamo di fronte ad un vero e proprio scontro di classe.
Ma il movimento per ora non si ferma qui. L’intersindacale ha già indetto un nuovo sciopero per il 6 giugno.
Con i loro interventi i compagn@ francesi hanno illustrato gli elementi di forza e di debolezza del movimento:
il ruolo fondamentale dell’intersindacale che, dopo 13 anni dalle ultime mobilitazioni congiunte, ha costituito l’anima delle lotte di questi mesi, che sono risultate le più massicce e le più lunghe dal 1968 e che si sono sviluppate non solo nelle grandi città, ma anche nelle medie, piccole e piccolissime realtà.
Si è vissuto un paradosso: gli scioperi pur avendo coinvolto il settore privato come non si vedeva da 20 30 anni ormai, non sono stati tutti così massicci, come invece la partecipazione di massa alle mobilitazioni potrebbe far pensare. Settori trainanti come gli insegnanti e i trasporti, che nel 2019 erano stati il motore degli scioperi generali prolungati, sono rimasti un po’ a guardare in attesa di un maggiore coinvolgimento delle altre categorie. Sono state però molteplici le iniziative alternative allo sciopero o alle manifestazioni, che si sono articolate un po’ ovunque.
Un livello così alto di mobilitazione ha portato ad una radicalizzazione di molti settori del lavoro ed anche ad una sostanziale crescita delle iscrizioni ai sindacati, che storicamente hanno sempre visto una bassa adesione formale (nella sola Cgt in pochi mesi le/gli iscritt@ sono cresciute/i di ca 30.000 unità, quanto in media in tutto un anno). Elemento fondamentale, questo, per la costruzione dei rapporti di forza nel futuro, non solo prossimo e che sarà altrettanto importante per piantare le radici del movimento anche nei singoli posti di lavoro.
Un elemento di criticità sul piano dell’organizzazione delle lotte è stata la difficoltà di autorganizzazione dei giovani e degli studenti, che sono sì scesi in massa nelle mobilitazioni accanto alle lavoratrici e ai lavoratori, ma che non sono riusciti a costruire proprie mobilitazioni, con proprie rivendicazioni, anche per la dura risposta da parte del governo e delle amministrazioni universitarie. I rettori pur di non fare occupare le facoltà hanno organizzato delle serrate, chiudendo le università, lasciando lavoratori e studenti a casa (durante le mobilitazioni del 2019 il rettore dell’università di Scienze Sociali di Parigi aveva chiuso l’ateneo per ben un mese) e autorizzando anche l’entrata della polizia negli atenei contro gli studenti che avevano effettuato piccole occupazioni simboliche. È chiaro, come per il governo e per le imprese l’unificazione delle lotte tra lavoratori e studenti sia un rischio troppo elevato, da scongiurare o con l’indebolimento del movimento studentesco, o con la repressione poliziesca.
Dopo il 16 marzo (data di approvazione della legge) si è venuta a creare una vera profonda crisi democratica. L’applicazione dell’art. 49.3 ha creato un precedente non da poco nel dibattito parlamentare, a cui ha fatto seguito anche una stretta democratica nelle piazze, sia attraverso l’uso indiscriminato della CRS, sia nei divieti di manifestare emanati dalle prefetture.
Allo stesso tempo però, Macron ha subito una sconfitta sia sociale che politica, che ha prodotto un’impasse anche legislativo. Esempio ne è il rinvio della legge sull’immigrazione. Ovviamente come finirà il suo mandato non è dato saperlo. Un rischio palpabile è invece come l’indebolimento di Macron possa aprire spazi politici ed elettorali al Rassemblement Nationale della Le Pen.
Per quanto riguarda le prospettive: il 6 giugno è indetto un ulteriore sciopero, dopo i 13 già svolti, in concomitanza con la discussione parlamentare di una proposta di legge di abrogazione dell’odioso provvedimento, che dovrà essere preceduto da assemblee capillari sui posti di lavoro, con l’obiettivo, da parte dell’intersindacale, di immettere nelle parole d’ordine anche altri elementi di sofferenza dalla classe lavoratrice, quali l’aumento dei salari.
E in Italia? Con una condizione di lavoro e di prospettive di pensionamento molto peggiori rispetto ai lavoratori francesi; con una perdita dei salari in termini reali del 3% da 30 anni a questa parte, un’età pensionabile elevata ad oggi a 67 anni ed in regime contributivo; con un’inflazione sui beni di prima necessità a doppia cifra; con un governo post fascista che sta proseguendo la politica neoliberista dei suoi predecessori, resta per noi un sogno la proposta di sciopero generale, resta un sogno un’intersindacale che inneschi ed alimenti le lotte. Ad oggi le uniche azioni previste dalla nostra “intersindacale” sono 3 manifestazioni fatte in 3 macroregioni, in 3 sabati diversi, con una piattaforma lacunosa, che omette addirittura alcuni punti fondamentali, quali il contrasto all’autonomia differenziata e alla liberalizzazione degli appalti nel settore pubblico. E, come ha detto Eliana Como nelle sue conclusioni, in qualità di portavoce dell’area sindacale, anche se la legge sulle pensioni al momento è stata approvata, le lavoratrici e i lavoratori francesi hanno già vinto.
Francesca Paoloni
Assemblea generale Cgil Roma e Lazio
(L’iniziativa è stata registrata in diretta su facebook. La registrazione è rintracciabile a questo link)
Pubblicato il 30 Maggio 2023