Costruire subito lo sciopero generale. Senza “se”
Intervista ad Eliana Como: “Il Governo merita una risposta esemplare, a partire dalla battaglia per un salario dignitoso. Facciamo come in Francia, dove la lotta partì da un tema forte, in quel caso le pensioni, e si allargò alle rivendicazioni sulla qualità della vita e del lavoro”
Da un lato la mobilitazione verso la manifestazione del 7 ottobre a Roma; dall’altro l’auspicio “che si arrivi nella maniera più forte e più convinta possibile allo sciopero generale”. In mezzo i grandi temi che incorniciano la condizione lavorativa di milioni di donne e uomini: dal salario minimo legale, agli effetti dell’inflazione da combattere, fino alla tragedia epocale delle morti sul lavoro e dell’insicurezza strutturale in troppi cantieri e fabbriche. Eliana Como, Portavoce nazionale dell’area di minoranza “Le Radici del Sindacato”, riflette a tutto campo sull’agenda politico-sindacale, alla vigilia di una grande manifestazione “che rimetterà al centro il rapporto diretto con le lavoratrici e i lavoratori”.
Cominciamo col mettere a fuoco l’appuntamento del 7 ottobre: come arriveremo a questo evento?
E’ iniziata la campagna di assemblee della Cgil in vista della manifestazione del 7 ottobre e delle successive iniziative. In modo inusuale si è deciso che, sulla base di una piattaforma rivendicativa molto ampia, i lavoratori e le lavoratrici voteranno con voto autocertificato – segreto o palese – la proposta di mobilitarsi fino ad uno sciopero generale, “se necessario”. Quel “se necessario” proprio non ci sta. Su questa decisione, nel corso dell’Assemblea Generale di luglio, ci siamo astenuti, dichiarando già allora di condividere la necessità di arrivare il prima possibile a un vero sciopero generale, ma di essere molto perplessi in merito al percorso indicato e, soprattutto, alla scelta di rinviare questa decisione al voto dei lavoratori e delle lavoratrici, finendo per ‘arrivare lunghi’ sull’autunno e dilatare così i tempi della mobilitazione.
Torneremo poi sulla questione-sciopero generale. Ma partiamo dai contenuti della piattaforma della manifestazione: interpreta le urgenze che assillano in questi anni le lavoratrici e i lavoratori?
Ci sono temi decisivi, finalmente, come il salario minimo. Si rimarca l’importanza della difesa dello stato sociale, si pone l’accento sul tema-pensioni e si deplora la legge ‘Bossi-Fini’ come strumento per affrontare la questione-immigrazione. Ci sono anche alcuni passaggi che non condivido, come ad esempio il fatto di insistere sulla riduzione del cuneo fiscale. Ritengo comunque essenziale ribadire l’importanza dell’approccio – prima ancora dei contenuti – sul quale costruire un percorso di lotta condiviso. Per farlo, cito l’esempio della Francia, attraversata per mesi da una mobilitazione e da scioperi intorno ad un tema prevalente, che era quello delle pensioni, al quale i promotori hanno avuto la capacità di agganciare le rivendicazioni sulla qualità della vita e del lavoro: dalla difesa dell’età pensionabile a quella del nostro tempo di lavoro, della nostra vita. Se quindi devo dare una valutazione della nostra piattaforma, direi questo: è una piattaforma programmatica generalista, che di fatto sostituisce l’iniziale ipotesi di un corteo focalizzato contro l’autonomia differenziata e ricapitola un’ampia parte delle proposte della nostra organizzazione: stipendi e salario minimo, fisco, giovani e precarietà, pensioni, stato sociale, politiche industriali, contrasto all’autonomia differenziata e al presidenzialismo. Tante, ma nemmeno tutte: nell’equilibrio complessivo, perché sono così marginali diverse questioni? Ad esempio, la salute e la sicurezza sul lavoro è a mala pena citata, altrettanto la scuola, l’università e la ricerca. Sulle politiche di genere si fa un rimando generico e francamente incomprensibile anche agli addetti ai lavori. Rischiamo, come spesso è accaduto in questi anni, di mobilitarci per tutto senza mobilitarci fino in fondo su niente. Sarebbe invece più incisivo decidere, una volta per tutte, quale è il punto da cui partiamo, per esempio il salario, sul quale ci misuriamo e sul quale diciamo che andiamo avanti fino in fondo.
I temi che hai citato verranno affrontati a palazzo Chigi come si conviene ad un governo di destra: ci avviciniamo ad una Finanziaria lacrime e sangue…
Abbiamo un governo che, semplicemente, cura gli interessi dei liberi professionisti e degli evasori, perché ha cancellato il reddito di cittadinanza, mette in crisi l’unità del paese con l’autonomia differenziata, taglia lo stato sociale a partire dal disinvestimento sui contratti pubblici. E non ha rispettato alcuna promessa elettorale sulla riforma delle pensioni, sul carovita e sull’inflazione. Questo governo merita una risposta forte ed esemplare: dobbiamo arrivare nella maniera più rapida e convinta possibile allo sciopero generale. Anche da soli. Perché la Cisl ha detto da mesi, con molta chiarezza, che ha deciso di essere uno dei principali alleati di questo Governo. E se la Uil vuole smarcarsi, bene, che ci segua invece di rallentarci.
Il percorso verso lo sciopero generale è stato spesso accidentato. Quali sono le tue aspettative a riguardo?
Non mi convince, prima di tutto, l’idea di far votare sullo sciopero – “se necessario”… -, ma non perché non sia importante il rapporto e il voto con i lavoratori e con le lavoratrici. Penso, al contrario, che ci sia una sorta di ammissione di scarsa autostima, come se in fondo la Cgil prendesse atto del fatto che non ha l’autorevolezza di farlo da sola e rilancia perciò la palla ai lavoratori. E aggiungo: quanto tempo ci metteremo a far votare un milione di lavoratori? Abbiamo di fronte una scadenza naturale, il 7 di ottobre: ma davvero qualcuno pensa di far votare un milione di lavoratori e lavoratrici entro quella data? Considerando inoltre che il percorso verso lo sciopero è stato caratterizzato da confusione, da alcune contraddizioni, da un certo immobilismo, per come è stato pensato e impostato. Vorrei un gruppo dirigente che, con convinzione, decidesse una linea e la portasse avanti: certamente nel rapporto con i lavoratori e le lavoratrici nelle assemblee, ma indicando una traiettoria chiara. Quello che servirebbe oggi è una iniziativa forte, coerente della Cgil intera, capace di affermare che “non lo diciamo e basta”. Quanto dichiariamo va costruito e realizzato, fino in fondo, ponendosi il tema di come ricostruire i rapporti di forza, senza doverne delegare una sorta di conferma al voto dei lavoratori. La traiettoria dovrebbe essere chiara: lo sciopero generale è assolutamente necessario, senza il “se”. Lo era già prima: casomai siamo in ritardo. Abbiamo fretta di proclamarlo e non possiamo aspettare un’altra volta dicembre, come è accaduto nei due anni precedenti.
C’è un’unica categoria che ha fatto da “apripista”: bisognerebbe seguirne il solco…
I metalmeccanici hanno scioperato a luglio: la scia lasciata da quella lotta consentirà alla categoria di spendere nelle assemblee un elemento di continuità e di coerenza. Rimane il fatto che è stata l’unica categoria a scioperare nel quadro della mobilitazione generale: non lo hanno fatto le altre categorie, a partire da quelle del settore pubblico, che pure in questa mobilitazione hanno un rapporto diretto con la loro controparte contrattuale. Immagino dunque la difficoltà, in questi settori, a far votare ora i lavoratori e le lavoratrici su uno sciopero che è già in ritardo, visto che le risorse per il loro contratto le hanno tagliate già a giugno.
Abbiamo accennato ai contenuti della piattaforma. Merita però un approfondimento il tema cruciale che attiene alle condizioni materiali delle lavoratrici e dei lavoratori: il salario minimo.
In primo luogo, ci deve essere coerenza tra ciò che rivendichiamo e le richieste di mobilitazione che rivolgiamo ai lavoratori e alle lavoratrici. Finalmente la Cgil ha fatto sua la rivendicazione del salario minimo, anche se avremmo preferito l’avesse fatta prima: ora occorre essere coerenti e conseguenti sulle nostre scelte contrattuali. Se diciamo che con meno di 9 euro all’ora un salario non è dignitoso (noi preferiremmo che la soglia fosse fissata a 10 euro…), non firmiamo più contratti nazionali al di sotto di quella soglia? Oppure vale quanto mi è stato risposto all’ultima Assemblea Generale della Cgil, quando ho posto il problema del contratto nazionale della vigilanza privata, dove si passerà da un salario minimo di 4,9 euro a poco meno di 5,5 euro nel 2026? Il Segretario Generale, in quella occasione, ci ha spiegato che “un contratto è valido quando è stato votato”. Anche a 5 euro l’ora? Insomma, serve chiarezza e occorre coerenza; non soltanto a proposito delle scelte contrattuali delle categorie, ma, ancor prima, riguardo al modello contrattuale che assumiamo come Cgil. Perché il problema non può essere scaricato sulle singole categorie e sulle debolezze strutturali di alcuni settori iper-precari, al limite nascondendosi dietro la loro “autonomia contrattuale”.
Vorrei chiudere con il dramma quotidiano degli infortuni sul lavoro. Che ipocritamente vengono ancora definiti “incidenti”.
L’indignazione non basta più dinanzi a quanto sta accadendo. Oltre ai controlli, alle leggi, a pene più severe… serve, a monte, un nuovo Statuto dei lavoratori, che assuma un punto irrinunciabile: la sicurezza viene prima di qualsiasi altra cosa e chi denuncia va salvaguardato, non certo licenziato. Noi, come ‘Le Radici del Sindacato’, stiamo pensando ad un’assemblea pubblica, alla presenza di delegati e RLS, per mettere a fuoco la miglior risposta sindacale possibile, a partire dalla condizione di lavoro e dal ricatto a cui sono sottoposti i lavoratori e le lavoratrici. Aggiorneremo le lettrici e i lettori in corso d’opera…
Paolo Repetto
Pubblicato il 19 Settembre 2023