Referendum contro il Jobs Act: quante polemiche sterili
E’ senza dubbio utile avanzare un chiarimento sul referendum promosso dalla Cgil contro il Jobs Act.
Molta stampa attacca Maurizio Landini sostenendo che non è vero che la stragrande maggioranza delle nuove assunzioni è precaria e, casomai, starebbe accadendo il contrario. A leggere bene i dati – afferma chi promuove quella tesi – tre quarti dei nuovi assunti in un anno sarebbero a tempo indeterminato e «solo» il 25% precario (le nuove attivazioni di contratti precari sarebbero molte di più «solo» perché sono brevi).
Ora, detto che, a nostro parere, abusare di slogan e semplificazioni con dati letti male non aiuta per niente, la polemica di questa stampa è davvero sterile e strumentale.
Il Jobs Act ha reso precari e ricattabili tutti i lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo il 2015, attraverso il sistema delle tutele crescenti, che consente alle imprese di licenziare anche un lavoratore «stabile» senza grandi oneri (se la cavano con un indennizzo in base all’anzianità di servizio).
E’ questo che chiediamo di abrogare con il referendum. Le tutele crescenti sono fortemente lesive dei diritti di chi lavora e creano precarietà anche nei tempi indeterminati. Abrogarle sarebbe un gran passo in avanti, perché cancellerebbe una odiosa discriminazione. Ma è meglio dire con chiarezza che, purtroppo, non cancellerebbe la precarietà (non lo si può fare con un referendum!) e non basterebbe nemmeno a riconquistare l’art. 18 originale dello Statuto dei lavoratori (manomesso da Fornero nel 2012, prima ancora che da Renzi nel 2014).
Certo, chissà, forse se il referendum lo avessimo fatto nel 2014 dopo le mobilitazioni, pur con molti ritardi, di allora, e non dopo 8 anni, sarebbe stato un tantino più chiaro…
Eliana Como
Pubblicato il 9 Aprile 2024