Uniti sul palco, divisi sul resto
Il Primo Maggio di Cgil, Cisl e Uil in piazza a Monfalcone con (soltanto) duemila manifestanti
“Se il presente assomiglia così tanto al passato, il Primo Maggio continuerà a essere un giorno di mobilitazione più che un giorno di festa. E le piazze continueranno a riempirsi, in attesa che la modernità e il progresso, di cui tanto parlano ovunque, ci porti davvero a un presente di giustizia sociale”: così scrive il periodico di informazione Cgil Collettiva all’indomani della manifestazione unitaria di Monfalcone. In realtà, non vi erano in piazza ad ascoltare i segretari generali più di 2.000 persone, secondo nostre testimonianze dirette, e Cgil Cisl Uil non sono mai state tanto divise.
Eppure la scelta del luogo ci appare giusta: la città sull’Isonzo, laboratorio di multietnicità, ospita oltre 31.000 residenti stranieri su 100.000 abitanti e rappresenta il vero motore della cantieristica navale. Dove i lavoratori svolgono un lavoro duro e rischioso, spesso afflitto dalla catena degli appalti e dei subappalti. E tuttavia, la sindaca leghista Anna Maria Cisint nega alla comunità bengalese la dignità di avere a disposizione luoghi di culto. Carne da cantiere, carne da sfruttare, ma da nascondere non appena finisce il turno di lavoro. Per fortuna, almeno sul fondamentale tema dell’immigrazione e sulla condanna verso le barbarie, tra i tre sindacati pare esserci unità di vedute.
In ogni caso, i comizi unitari che si sono tenuti in giro per la penisola, con qualche slogan buonista, non paiono per il momento in grado di cambiare lo stato delle relazioni tra le confederazioni. In gran parte, i segretari Cgil, sui palchi di tutta Italia accanto ai loro omologhi, hanno avuto cura di evitare l’argomento referendum, diviso su quattro quesiti “per smontare alcune delle leggi che hanno portato a un mondo del lavoro selvaggio”, che non sono oggetto di interesse né di Cisl né di Uil.
Certamente sulla scelta di Landini l’Area ‘Le Radici del Sindacato’ ha già espresso i propri dubbi, anche qui su Progetto Lavoro. Sui referendum ha votato a maggioranza l’assemblea nazionale della Cgil, senza peraltro avere fattivamente contribuito e dibattuto alla loro elaborazione. Il tutto in un clima di profonda sfiducia a proposito dei tradizionali strumenti dell’azione rivendicativa, al di là delle congetture circa il posizionamento della Cgil e dei destini personali del suo leader.
Non vi è soltanto l’opposizione a un governo di centro destra, ma una visione di fondo pessimistica sull’intero rapporto tra politica e società, ed implicitamente un giudizio non lusinghiero anche sull’attuale centrosinistra. Se l’astensionismo alle urne crescente ne sottolinea le distanze, il richiamo al voto dell’intera classe lavoratrice, pena il fallimento del referendum, quali che siano i diversi orientamenti politici, potrebbe ricucire questa frattura. ‘Le Radici del Sindacato’ farà lealmente la sua parte. Si vedrà poi se le speranze saranno state ben riposte.
Se l’iniziativa referendaria non è stata tirata fuori nei comizi unitari, i segretari Cisl non hanno avuto bisogno di ricordare che questa, secondo Sbarra, appare “anacronistica”, perché crede che retrodatare l’iniziativa sul lavoro al tempo di Matteo Renzi rappresenti un profondo errore. Tra le altre cose, ritiene che il mercato del lavoro italiano abbia dinamiche più complesse riguardo contratti a termine e precarizzazione, e che le aziende tendano a fidelizzare la forza lavoro che hanno, soprattutto sulla base delle competenze. “L’articolo 18 di oggi è la formazione delle competenze”, sostiene Sbarra. Ma se è così, perché negli ultimi dieci anni oltre 250.000 giovani laureati se ne sono andati all’estero, uniti ad altri 750.000 che, se non hanno la laurea, hanno dimostrato certamente competenze tali da trovare un lavoro dignitoso oltre confine?
Nonostante tutto, il primo paradosso è che, oltre all’immigrazione – su cui si è detto all’inizio – sul palco i punti di incontro si sono rivelati parecchi. La difesa della 194. La previdenza. La riforma fiscale. L’attuazione del Pnrr. Cambia semmai la strategia per ottenere risultati, non ultimo riguardo ai rapporti da tenere con il governo. In passato, vi sono stati governi dalla filosofia largamente concertativa, altri che hanno considerato i lavoratori come degli elettori, da raggiungere con gli strumenti dell’azione politica diretta, senza mostrare alcun favore all’intermediazione sociale. A parere di chi scrive, l’atteggiamento del Governo non è poi così chiaro e uniforme al proposito. Su alcuni argomenti, come il futuro dell’industria dell’auto e dell’automotive, il Mimit ha moltiplicato i tavoli di negoziato ed i sindacati sono stati coinvolti. Su altri, l’atteggiamento è stato radicalmente diverso, e le misure comunicate alla stampa prima ancora che ai sindacati, o comunicate ai sindacati cinque minuti prima che alla stampa.
Il secondo paradosso è che la divisione sindacale pare riguardare esclusivamente le confederazioni e i quartieri generali romani. Sui palchi della penisola si capiva bene che in provincia, nelle aziende e nella contrattazione di categoria prevale la pratica unitaria di tutti i giorni. Anche tra i metalmeccanici, che pure hanno alle spalle stagioni laceranti e contratti separati, oggi le categorie operano con sufficiente unità. La piattaforma è stata costruita assieme, così come la consultazione dei lavoratori. Sempre per rifarsi al mondo dell’auto, la gestione del contenzioso con Stellantis sta andando di pari passo.
“Il Governo deve aumentare gli stipendi!”, ha tuonato Landini sull’intervista a Repubblica il giorno prima della festa del lavoro. Speriamo, innanzitutto, che nei prossimi rinnovi contrattuali prevalga la consapevolezza che i contratti nazionali non riescono a recuperare l’inflazione ex post, e che con questo sistema ad ogni rinnovo i salari perdono potere d’acquisto. Al di là del rapporto con la politica, quindi, “chiedere al Governo di aumentare gli stipendi è una dissonanza cognitiva; usare la leva fiscale per ridurre tasse e contributi significa in questo momento tagli ai servizi sociali”, scrive Augustin Bruno di Skatenati Electrolux. E dunque, il lavoratore si autoretribuisce il proprio aumento di stipendio.
A partire da questo primo maggio, ‘le Radici del Sindacato’ farà di tutto, nei prossimi rinnovi contrattuali, perché gli aumenti siano reali, e pagati dalle imprese. Contro un sistema salariale ancora improntato alla moderazione salariale degli anni 90. E, dal basso del palco, si vigilerà…
Davide Vasconi
Pubblicato il 5 Maggio 2024