Contro l’Autonomia differenziata un approccio concreto e di classe
Lo scorso giugno alla Camera, dopo una lunga seduta notturna, c’è stato il voto conclusivo con la definitiva approvazione del Disegno di Legge ‘Calderoli’ sull’autonomia differenziata: una legge, come sappiamo, nefasta e molto pericolosa. Siamo stati quindi necessariamente chiamati, come sappiamo, alla raccolta firme referendaria.
Non ritorniamo sulle caratteristiche del dissenso e della critica che abbiamo espresso, come Area de “Le Radici del Sindacato”, sulla strategia referendaria in tema di lavoro scelta dalla CGIL, non in sé sui quattro quesiti scelti quanto sul tipo di operazione. Non ci ritorniamo sia perché crediamo che la nostra posizione sia qui conosciuta ma soprattutto perché siamo ormai in una fase operativa avanzata di questa iniziativa.
Ma sulla legge sull’autonomia differenziata l’iniziativa referendaria è apparsa ovvia quanto necessaria. E diversamente dai quattro referendum della CGIL, questa l’abbiamo costruita insieme a tanti altri soggetti, tante associazioni, partiti, altri sindacati. E’ stata importante e necessaria quindi la nostra capacità di presenza, ma soprattutto il tipo di presenza e di approccio a questa battaglia, come tratto originale e distintivo, che abbiamo scelto di assumere.
Per intenderci, non si è trattato soltanto di puntare sulla difesa dell’unità nazionale e nemmeno sulla difesa della Costituzione, se non altro perché la possibilità dell’autonomia differenziata è già presente nella Costituzione, al comma 3 dell’articolo 116, inserita nel 2001 all’interno della più vasta modifica del Titolo V voluta dall’allora centrosinistra… peraltro una modifica alla Costituzione – lo ricordiamo anche per chi oggi sostiene, e giustamente, che le modifiche alla Carta costituzionale non dovrebbero essere fatte a colpi di maggioranza – approvata alla Camera con 316 voti: esattamente il minimo consentito, cioè la maggioranza dei componenti, che allora erano 630.
L’autonomia differenziata è così possibile su ben 23 materie, quindi praticamente su quasi tutto, eccetto l’esercito o i carabinieri e poco altro … è possibile perfino in tema di rapporti internazionali.
Nel 2013 Pierluigi Bersani, allora ancora segretario del PD – e citando Bersani non crediamo di andar fuori dal nostro seminato sindacale, visto che è stato invitato ai primi di giugno a Mantova alla Festa nazionale di ‘Liberetà’, il giornale mensile del SPI, e ha partecipato al dibattito – affermò che con la modifica del Titolo V si era fatto un bel pasticcio e che occorresse rivedere la questione. Ma poi non se ne fece nulla. Anzi, ci fu il tentativo di riforma costituzionale del successivo segretario del PD Matteo Renzi, su cui giustamente ci opponemmo nel referendum del 2016, portando anche il nostro contributo, come CGIL, alla sconfitta di quel disegno politico e istituzionale.
Ecco, il nostro approccio nella campagna referendaria è stato caratterizzato da contenuti molto concreti e di classe. Certamente contro l’ulteriore spinta alle diseguaglianze che si determinerebbe, che si concretizzerà per esempio sulla sanità, dove già le differenze tra regioni sono avanzatissime. In Calabria, addirittura, si deve cercare aiuto importando medici e infermieri da paesi del terzo mondo. Ma le differenze si amplieranno ulteriormente non solo tra Nord e Sud, ma nei diversi Sud presenti anche nel Nord, dove comunque si eserciterà in generale una ulteriore spinta alle privatizzazioni.
Ma poi sulle questioni del lavoro, con la possibilità di contratti regionali (Zaia lo ha già indicato), andando quindi a picconare l’idea stessa di CCNL, a partire dai settori della scuola e della sanità, reintroducendo insomma per questa via le gabbie salariali.
Inoltre il DDL ‘Calderoli’, ormai legge, prevede all’articolo 11 che l’attuazione dell’autonomia differenziata per le Regioni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) che hanno già sottoscritto preintese con Governi precedenti, potranno partire dai sistemi di preintese già siglate tra il 2018 e il 2019 (Governi Gentiloni e Conte 1), saltando quindi, a differenza delle altre Regioni, il lungo iter previsto.
Infine, la campagna referendaria, che proseguirà nel corso di questo mese – per poter depositare le necessarie firme presso la Corte di Cassazione entro il giorno 30 e indire il referendum nella primavera del 2025 – farà spostare in avanti, da ottobre in poi, la raccolta firme sulle Leggi di iniziativa popolare promosse dalla CGIL (che nel frattempo sembra si vada a definire che saranno 3 e non più 4).
Tra queste viene annunciata una proposta di legge di iniziativa popolare sul tema della sanità. Ciò significa che allora vi sarà una più ampia disponibilità di tempo per rendere possibile nella nostra organizzazione, con le categorie e con i territori, un largo confronto sul merito di quanto si vuole proporre. Credo che lo SPI, che dovrebbe affrontare il tema delle politiche sanitarie tra quelli principali, se non il principale, nell’ambito della costruzione di vertenze nella contrattazione sociale e territoriale, dovrebbe essere il più interessato allo sviluppo della necessità di questo largo confronto.
Aurelio Macciò
AG SPI-CGIL
Pubblicato il 12 Settembre 2024