In sciopero il 18 ottobre: per l’Auto e non soltanto
Eliana Como: “Gli effetti della crisi climatica saranno di classe, oltre che neocoloniali, ed è decisivo ribadire che le condizioni materiali delle lavoratrici, dei lavoratori devono essere le protagoniste del dibattito sul clima”
Lo sciopero del 18 ottobre? “Decisivo per la categoria e per l’industria”. Eliana Como ricorda – aprendo la sua intervista sullo stato dell’industria italiana ad iniziare da quella metalmeccanica – quanto sia costata la lunga attesa di Cisl e Uil, timorose di arrivare ad una mobilitazione assolutamente necessaria. “Non era certo scontato arrivarci insieme – osserva la Portavoce dell’Area alternativa in CGIL ‘Le Radici dei Sindacato’ – ma ci arriviamo tardi, anche perché nel frattempo gli stabilimenti Stellantis sono stati svuotati, alla fine di un trend partito da lontano e che, negli ultimi anni, ci ha presentato un indebolimento complessivo del gruppo…”.
A ben guardare, il tema riguarda sia la politica industriale sia la virata verso la speculazione garantita dalle rendite finanziarie.
Sì, perché Stellantis ha già messo la sua testa altrove, fuori dall’Italia, e sta da tempo ridimensionando i suoi interessi industriali a vantaggio di quelli finanziari. Per varie ragioni, quindi, è fondamentale essere arrivati all’appuntamento di lotta del 18 ottobre: è infatti decisivo per tutta la categoria dei metalmeccanici porre la questione del futuro dell’Auto prima ancora di entrare nel vivo del rinnovo del contratto nazionale. Anche perché – mi si passi la provocazione – la discussione sul contratto risulterebbe ‘amputata’ a fronte della scomparsa, o quasi, di questo settore dal nostro Paese. Aggiungo che i lavoratori e le lavoratrici di Stellantis sono esclusi dal rinnovo del contratto di Federmeccanica: un vero e proprio vulnus che ci causa un’enorme ferita, che rappresenta uno strappo per tutta la categoria, di cui Fim e Uilm, firmatarie del CCSL – il contratto specifico di lavoro che ha consentito all’allora Fiat di uscire dal contratto dei metalmeccanici, ndr –, sono in larga parte responsabili. Un’altra ferita è che il presidente di Stellantis, John Elkann, finalmente si degna di riferire sulla crisi dell’auto in Italia. Ma perché non sono convocati anche i rappresentanti dei lavoratori e delle lavoratrici? Al Parlamento non interessa la voce degli operai?
Quindi destino dell’Auto e nuovo contratto nazionale come due facce di una stessa medaglia.
Se da un lato scioperiamo e scendiamo in piazza il 18 ottobre per rivendicare il futuro dell’industria automobilistica in Italia, dall’altro dovremo contestualmente discutere di cosa mettere in campo per rinnovare il contratto nazionale. Se non ci sarà un futuro per l’industria dell’auto, sarà un problema per tutti i metalmeccanici e le metalmeccaniche e risentiremo di questa debolezza anche sul tavolo per il rinnovo del contratto nazionale. E proprio perché la partita è così importante, la data del 18 ottobre è decisiva, ma anche in ritardo. Sono convinta che abbiamo perso un’occasione nel 2021, quando avremmo potuto spingere su questa vertenza sull’onda della grande lotta del Collettivo ex-GKN a beneficio di tutto il movimento…
Vuoi spiegare meglio questo passaggio?
Avremmo potuto, in quella circostanza, fare di più per intrecciare il tema dell’industria dell’Auto in Italia, di cui GKN fa parte, con il contesto generale della categoria ‘dentro’ la grande questione della transizione energetica, quindi ben al di là delle singole vertenze. Fu proprio il 18 settembre il giorno in cui confluirono a Firenze, nel 2021, 40mila manifestanti – la maggior parte giovani e giovanissimi – attirati proprio da una vertenza operaia che sapeva interagire con il territorio e con le tematiche avanzate ‘dal basso’ e che sollevavano (e continuano a riproporci) i nodi cruciali della difesa dell’occupazione e dei diritti in relazione alla giustizia climatica e all’ambiente di vita, di studio e di lavoro. E se è vero che, all’epoca, sarebbe stato impossibile trascinare Fim e Uilm all’interno di quel dibattito, dovremmo interrogarci su un quesito: saremmo stati più forti ad arrivare alla lotta da soli, nel 2021, cavalcando quell’onda, o siamo più attrezzati oggi che ci siamo giunti unitariamente?
Difficile rispondere alla domanda, ma di certo ci troviamo in una fase di snodo cruciale…
Ciò che sappiamo è che oggi ci mobilitiamo tutti insieme, con Fim e Uilm, perché anche loro percepiscono come si sia arrivati sull’orlo del baratro: sul contesto europeo e geopolitico è inutile dilungarsi, visto che assomiglia sempre più ad un terremoto incombente e che potrebbe crollare sull’Europa da un momento all’altro, travolgendo innanzitutto i più deboli, come sempre succede in contesti del genere. Ma a ciò si aggiunge che la gravissima crisi industriale che stiamo attraversando, con Volkswagen che annuncia dopo decenni la chiusura di stabilimenti in Germania e a Bruxelles, rischia di trasformare l’Italia in un ulteriore vaso di coccio all’interno di un Continente alla mercè di avvenimenti epocali sui quali non esercita alcun reale potere.
In tutto ciò il dibattito sull’Auto, per come lo raccontano i mass media, non sembra proprio centrato.
No, anzi: è presentato in modo fuorviante, come se la domanda a cui rispondere fosse ‘auto elettrica sì’ o ‘auto elettrica no’, mentre governo e Confindustria si riabbracciano nella improbabile prospettiva di tornare alle certezze del fossile, con il concreto rischio di incontrare comprensibili consensi tra i lavoratori e i cittadini, che nella loro grande parte non possono certo permettersi auto da 40mila euro (senza nemmeno un decente accesso alle colonnine per caricare le batterie). Noi dovremmo invece spostare del tutto l’asse della riflessione. Perché gli effetti della crisi climatica saranno di classe, oltre che neocoloniali, ed è decisivo ribadire che le condizioni materiali delle lavoratrici, dei lavoratori e dei cittadini più in generale devono essere le protagoniste del dibattito sul clima, a partire ovviamente dalle condizioni di lavoro e dal fatto che i costi della transizione non possono essere scaricati sui lavoratori, come sta avvenendo. Il punto è come la politica intenda governare la transizione energetica: negli ultimi anni si è rivelato fallimentare affidarla al libero mercato, i cui attori hanno pensato soltanto ad incamerare profitti e a far ricadere i costi delle lavoratrici e dei lavoratori. Il mercato non è la soluzione, ma la causa. La transizione energetica ha bisogno di intervento pubblico e investimenti, bisogna ripensare la mobilità pubblica e leggera, il trasporto locale. A monte, bisogna investire sulle energie rinnovabili. Poi anche sull’auto elettrica. Pensare invece di risolvere i problemi tornando indietro e addirittura negando la crisi climatica, è folle.
Qualche sprazzo di unità tra il mondo del lavoro e quello della giustizia climatica si è intravisto nitidamente. Come proseguire?
E’ fondamentale la convergenza tra le organizzazioni dei lavoratori e il movimento ambientalista, a cominciare dal doppio appuntamento dell’11 – data dello sciopero di ‘Fridays for future’ – e del 18 ottobre. Ripartendo, ancora una volta, dalla lezione impartita dal Collettivo ex-GKN e dall’assemblea permanente dello stabilimento, che rappresentano un esempio concreto e vivissimo di unità possibile tra la lotta epocale per il futuro del lavoro e quella per un ambiente sostenibile. Una lotta concretissima ed efficace, se consideriamo che proprio pochi giorni fa il Collettivo ex-GKN ha annunciato di aver raggiunto un milione di euro nella raccolta di azionariato popolare.
Paolo Repetto
Pubblicato il 9 Ottobre 2024