Lo stress da lavoro, un male strisciante

Lo stress da lavoro sarebbe probabilmente la malattia professionale più diffusa in Italia, ed in costante aumento da anni, se fosse effettivamente considerato malattia professionale. Il primo problema è proprio questo, perché in realtà i casi di stress da lavoro riconosciuti da Inail si contano nel nostro paese sulle dita di una mano. I sintomi sono noti e importanti: disturbi all’apparato digerente, disturbi psicosomatici, depressione, disturbi bipolari, ansia e insonnia. Un male strisciante e spesso sottaciuto dunque, troppo spesso considerato alla stregua di un banale disagio personale, di cui la Cgil sta prendendo coscienza.

Secondo un’inchiesta sociale appena conclusa da Cgil ed Ires (l’Istituto di Ricerche Economiche Sociali affiliato alla Cgil) attraverso oltre 3.000 questionari nella provincia di Bologna, quasi un lavoratore su tre dichiara di sentirsi ripetutamente ansioso e stressato sul luogo di lavoro; sono frequenti i casi in cui si assumono responsabilità non previste dal proprio ruolo, l’eccesso di ricorso a lavoro straordinario (retribuito solo nella metà dei casi in esame), la rinuncia a ferie  o l’obbligo di lavorare nei giorni festivi, e sono tutt’altro che rari episodi di discriminazione, violenza o mobbing.

L’area CGIL ‘Le Radici del Sindacato’, ad esempio, ha documentato recentemente, nel corso di un convegno svoltosi a Milano, il disagio vissuto da lavoratrici e lavoratori di un grande gruppo di distribuzione (cfr. n. 11/2024 “Progetto Lavoro”), quando ad esempio capita che chi ha la pelle di colore diverso divenga oggetto di aggressioni a sfondo razzista senza che l’azienda prenda le proprie difese. Perché, si sa, il cliente è sacro. Complessivamente, nel commercio emerge che il danno alla salute causato dal rapporto col pubblico, oltre che da comportamenti vessatori, in una catena gerarchica talvolta informale e fuori controllo, sono almeno pari a quelli causati dalla movimentazione manuale di carichi.

Eppure, se si analizza un qualsiasi Documento di Valutazione dei Rischi aziendale, la valutazione obbligatoria del rischio stress lavoro correlato in genere fa emergere un quadro del tutto rassicurante. Il primo aspetto del problema è che il metodo Inail, comunemente adottato, non appare spesso sufficiente a comprendere le dimensioni del problema. Non sempre, ad esempio, la mancata adozione di provvedimenti disciplinari formali – uno degli indicatori – è indice di un ambiente di lavoro rispettoso della dignità o della persona. Indicatori quali “funzione e cultura organizzativa” o “evoluzione della carriera” sono autovalutati dal datore di lavoro, ovviamente in modo lusinghiero. E il metodo non prende a riferimento come indicatore ben altri fatti fondamentali, quali ad esempio i casi di aggressione personali, preoccupanti e in aumento. Si pensi solo alle dimensioni drammatiche che hanno assunto nella sanità e nei trasporti.

Un secondo aspetto del problema è il peggioramento complessivo delle condizioni di lavoro. Il calo delle retribuzioni denunciato da ‘Le Radici del Sindacato’, anche purtroppo a causa di rinnovi contrattuali discutibili, è un fatto incontrovertibile, se non altro da un punto di vista strettamente matematico, e ha un suo peso e una sua causa di frustrazione. Ma ancora di più, pesano organici sempre più ridotti – talvolta proprio a causa di livelli retributivi assolutamente inadeguati, come nelle aziende di trasporto pubblico del nord – una popolazione lavorativa sempre più anziana e un livello insoddisfacente di coinvolgimento nelle scelte aziendali. La cultura aziendale di casa Agnelli, stupendamente descritta nel libro “Lavorare in Fiat” di Marco Revelli, va diffondendosi ben oltre i confini novecenteschi, favorita anche dai rapporti di lavoro precari.

Eppure, non c’è dubbio che la presenza del sindacato, non semplicemente passiva come in Stellantis o in tante altre realtà, garantendo una maggiore democrazia e una migliore gestione dei tempi di vita e di lavoro, possa significativamente ridurre i carichi di stress a cui, secondo la Fondazione Veronesi, sono attribuibili in Italia ben il 25 % del totale delle assenze per malattia. La scommessa vera, quindi, è prenderne collettivamente coscienza, facendo della somma di numerosi problemi individuali un unico problema collettivo a beneficio di tutti.

La Cgil in passato non sempre ne ha compreso l’entità, e quando l’ha fatto, ha adottato una terapia per lo più sintomatologica. Uno “sportello mobbing” ad esempio, cura un sintomo. Può prendere in carico un lavoratore, e magari farlo uscire dal lavoro con un risarcimento. Ma le cause del problema rimangono, e sono all’interno di un ambiente di lavoro malato e putrescente. Allo stesso modo, non è inserendo nelle piattaforme dei rinnovi contrattuali il “sostegno psicologico” nel welfare aziendale – come a dire: “se non ti trovi bene qui fatti vedere da uno bravo” – la chiave per un ambiente di lavoro salubre. Il luogo in cui si passa, bene o male, le ore più intense e produttive della propria vita.

Davide Vasconi

Pubblicato il 29 Ottobre 2024