Il decreto “insicurezza”. Per nascondere i veri problemi

Eliana Como: “Aumentare le pene non serve a niente, se non ad accanirsi sui più deboli”

Il ddl 1660 dovrebbe chiamarsi “decreto insicurezza”, perché non vuole aumentare la sicurezza reale delle persone ma l’insicurezza percepita dall’opinione pubblica. La domanda di sicurezza non viene dal basso, i dati ISTAT lo smentiscono, ma è imposta dall’alto, anche attraverso leggi come questa, che hanno lo scopo di farci percepire un maggiore rischio, in particolare sui migranti, che in realtà non esiste. Questa logica è funzionale al Governo, per mostrarsi forte e distogliere l’attenzione dai problemi reali su cui invece non sa dare risposte.

Pensare che l’aumento delle pene e la stretta repressiva funzioni da deterrente è un principio di per sé sbagliato, vale per l’inasprimento delle pene come per le politiche migratorie. In 15 anni sono morte oltre 30mila persone nel Mediterraneo, eppure continuano a partire. Per una ragione semplice, quanto drammatica: chi cerca di approdare sulle nostre coste lo fa per disperazione.

Altrettanto vale per l’ordine pubblico. Puoi raddoppiare le pene contro l’accattonaggio, ma una persona povera continuerà a chiedere l’elemosina se non ha alternative. Il Governo dovrebbe piuttosto dare gli strumenti per uscire dalla condizione di bisogno. Cancellare il reddito di cittadinanza va nella direzione opposta.

La verità è che i problemi sociali andrebbero risolti con la politica, non con la repressione. Aumentare le pene non serve a niente, se non ad accanirsi sui più deboli.

Va anche detto che questa gestione dell’ordine pubblico è tipica della destra reazionaria, ma questo decreto è il terzo in un decennio. Inasprisce le pene in modo sproporzionato, ma poggia le basi su principi che sono già passati con i precedenti Governi.

Il tema centrale è l’attacco ai migranti. Ma andiamo con ordine. Chi sarà più penalizzato da questo decreto? Il settore della canapa rischia molto. Non è escluso che facciano marcia indietro, visto che il Tar del Lazio ha già smentito il divieto della cannabis light, non essendo una sostanza psicotropa. Ma è un tema importante da sottolineare, perché sono a rischio decine di migliaia di posti di lavoro, in un settore che, in questi anni, soprattutto al sud, ha creato lavoro e convinto molti giovani a restare in Italia.

Poi c’è chi protesta. Il ddl 1660 è un duro colpo alle lotte dei lavoratori e per la giustizia climatica. Sono, infatti, inasprite le pene contro i picchetti stradali. Questo aspetto è grave anche dal punto di vista costituzionale, perché il diritto di manifestare viene subordinato alla difesa dell’ordine pubblico. 

Già il primo decreto sicurezza, nel 2019, con Salvini Ministro dell’interno nel primo Governo Conte, aveva reso il reato non più solo amministrativo, punibile cioè con una multa (portata allora addirittura a 4mila euro), ma penale, quindi passibile carcere, nel caso in cui il blocco stradale avvenisse non solo con il proprio corpo ma con un mezzo. Oggi, l’attuale ddl considera ogni blocco stradale, anche con il solo corpo, punibile con il carcere, se attuato con insieme a almeno sei persone. E lo porta fino a 12 anni, se avviene con un mezzo. Attenzione, nel processo Eni di Marghera, alcuni attivisti, che poi furono assolti per mancanza di dolo, vennero già accusati in sede penale, perché, oltre al loro corpo avevano usato uno striscione. Basterà poco per ritrovarsi in carcere per un semplice picchetto stradale.

E poi ci sono i migranti, i più colpiti dal ddl 1660. Non soltanto per una delle misure più odiose, cioè il divieto di vendere sim telefoniche a persone senza permesso di soggiorno. Un regalo ai caporali e una vera cattiveria contro chi è già più vulnerabile e privato di tutto.

Tutte le altre misure del decreto riguarderanno soprattutto i migranti, dalle pene per le proteste in carcere e nei centri per il rimpatrio fino alle occupazioni delle case.

Il tema delle condizioni di vita in carcere è drammatico. Si può mai affrontare con l’inasprimento delle pene! Addirittura contro la resistenza passiva. E persino nei CPR, che di per sé non dovrebbero nemmeno essere centri di detenzione. Oppure eliminando l’obbligo del rinvio del carcere per le donne in gravidanza e fino a un anno di vita del bambino (il rinvio non sarà più certo, come è ora, ma a discrezione del giudice). È una norma senza pietà, non soltanto contro le donne, ma soprattutto contro i bambini e le bambine, costrette a nascere o vivere i primi mesi di vita in carcere, in una condizione di totale privazione.

Anche le norme contro le occupazioni delle case colpiranno soprattutto i migranti. Il reato passa dalla multa al carcere. Fino a 7 anni nel caso di violazione violenta di domicilio. Da anni, raccontano che chi occupa le case, viola case già abitate. La realtà delle occupazioni è tutt’altra. Sono occupate le case sfitte e abbandonate. Ma, nelle pieghe della nuova normativa, il rischio è che se occupi una casa popolare non abitata e magari inagibile, ma che in teoria può comunque essere assegnata, quel comportamento rientra nella violazione violenta, come se stessi in astratto prendendo la casa a una famiglia che ci abita dentro. Si punisce, anche in questo caso, in modo sproporzionato, invece che provare a risolvere i problemi e, per esempio, investire in edilizia popolare.

Il meccanismo è in tutti i casi lo stesso: punire. Ma soltanto i deboli. Guai invece a introdurre il reato di omicidio sul lavoro per le imprese che non rispettano le norme di sicurezza, in un paese in cui muoiono 3 persone al giorno sul posto di lavoro!

Allora, è necessario alzare il livello della mobilitazione. Ma soprattutto dobbiamo smontare la loro propaganda. Hanno diffuso odio per anni nel convincere chi lavora che la colpa della loro condizione non è di chi sta sopra di loro, ma di chi è più povero o, più disperato ancora, attraversa il mare per arrivare in Italia. È questa campagna di odio che va messa in discussione. Non è accettabile che le più alte istituzioni politiche del paese parlino dei migranti con termini come “carico residuale” e “cani e porci”. Non ci sono confini da difendere perché non c’è nessuna invasione.

E quella retorica del “prima gli italiani” tanto cara al Governo di destra è una bugia. Lo dobbiamo dire con molta chiarezza nei posti di lavoro e nelle tante fabbriche dove pure purtroppo ha fatto presa. Hanno cancellato il reddito di cittadinanza, inasprito le pene, deportato i migranti in Albania. Ma vedi, tu operaio in fabbrica continui ad avere un salario da fame e andare in pensione a 43 anni. Il problema non sono né i poveri né i migranti. Il problema è chi ci governa, chi non paga le tasse, chi ci sfrutta, chi fa affari, chi si arricchisce alle nostre spalle mettendoci gli uni contro gli altri.

Eliana Como

Portavoce nazionale dell’Area ‘Le Radici del Sindacato”

Pubblicato il 29 Ottobre 2024