Come muoversi nell’era delle “policrisi”?
La fase economica depressiva coincide, come spesso accade, con la crisi di egemonia della potenza dominante
Superato il primo quarto di secolo del terzo millennio, è giunto il momento di chiedersi quali siano le prospettive che abbiamo di fronte. Il “sol dell’avvenire” è ormai oscurato da una fitta nebbia che vieta lo sguardo al futuro e sembra cancellare ogni speranza. Viviamo nell’epoca critica dell’incertezza e delle “policrisi”, che si accumulano minacciose all’orizzonte nel nostro futuro. Le guerre e le emergenze climatiche hanno fatto migliaia di vittime e lo sfollamento di intere popolazioni. Le fanatiche politiche di austerità hanno promosso l’inflazione finanziaria a danno dell’economia produttiva, e dei bisogni sociali, con uno slittamento della democrazia verso forme sempre più autoritarie, promosse da oligarchi come Elon Musk che manipolano, attraverso le bufale dei media, un’opinione pubblica ormai polverizzata e dispersa, sfiduciata e rancorosa, permeabile alle ondate populiste, assuefatta ai femminicidi e indifferente al genocidio in diretta tv, con una maggioranza che diserta le elezioni e con governi deboli e instabili, che sono di fatto una dittatura della minoranza. Mentre i “post-Millennial” nativi digitali della “Generazione Z” rispondono “abbiamo perso il presente, siamo senza futuro”. Siamo all’interno della fase depressiva d’una onda lunga dell’economia che spesso coincide con una crisi di egemonia della potenza dominante, pressata da nuovi pretendenti e intenzionata a difendere il proprio dominio sul piano militare, con una “guerra larga” di lunga durata.
La situazione economica mondiale è caratterizzata da profonde incertezze e influenzata profondamente da quella politica. Gli organismi internazionali tendono a tranquillizzarci ma ci avvertono delle pesanti incognite e dei prossimi profondi cambiamenti strutturali negli assetti economici globali. Unica certezza sono gli affari d’oro delle fabbriche di armi, con profitti record, nell’ambito di una folle corsa al riarmo, sollecitata anche dalla NATO, che vuole innalzare l’obiettivo di spesa dal 2 a 3-4% del PIL, tagliando il “welfare”. Le sanzioni europee alla Russia hanno fatto molto più male all’Europa, spingendo la Germania in recessione.
Germania e Francia versano in una profonda crisi economica che si accompagna ad una grave instabilità politica, con l’avanzata dell’estrema destra radicale ormai al governo in molti stati europei, sostenuta da Elon Musk, presidente ombra degli Stati Uniti.
L’Europa è stretta tra l’elevato debito e deficit pubblico, e l’obbligo NATO di aumentare le spese militari a livelli astronomici è pressata dalle due grandi potenze economiche, Stati Uniti e Cina, e afflitta da una crisi industriale e dalla debolezza degli investimenti. La Germania, ex “locomotiva d’Europa”, è andata in rimessa, diventando il “grande malato” d’Europa, in profonda crisi economica e politica, col calo progressivo della produzione manifatturiera, che era il suo punto di forza, fondato sul gas russo a basso costo, proibito dalle sanzioni, e sulle esportazioni delle auto di alta gamma in Cina. Paese che ora invece minaccia di invadere l’Europa con auto elettriche, mentre salgono le insolvenze e il sistema bancario è in difficoltà. Ciò si ripercuote sulle imminenti elezioni tedesche, che vedranno una forte avanzata della destra neonazista.
La Francia ha davanti tempi difficili, con grandi problemi economici (alta disoccupazione e vasta povertà, squilibri di bilancio, declassamento del “rating” e procedura per deficit eccessivo) e politici (con l’avanzata delle estreme destre e l’instabilità dei governi costretti a manovre “lacrime e sangue”). Anche la situazione della Gran Bretagna è piuttosto fosca, con problemi di inflazione, stagnazione economica e del lavoro, con forti rischi fiscali per il bilancio.
Per l’Italia le previsioni sono di una crescita del PIL pari allo 0,7% per il 2024 e dello 0,8% per il 2025, ma si tratta di stime abbastanza aleatorie ed inferiori a quelle ipotizzate dal governo nella bozza di bilancio. L’Italia vede la deindustrializzazione, l’aumento della povertà, il taglio dello stato sociale per finanziare la guerra in Ucraina, a fronte di una marcata disoccupazione giovanile, di un’occupazione sempre più precarizzata, con la crisi demografica e la fuga dei giovani laureati e degli stabilimenti all’estero, e con il forte calo della produzione industriale col “contatore della crisi” che va alla ventura. Si segnalano infatti la crisi dell’auto e della componentistica, nonché delle esportazioni della moda in Cina. Con gli investimenti, soprattutto immobiliari, precedentemente spinti dal superbonus, che ora sono in difficoltà. La manovra di bilancio, pressata dall’austerità europea e dalle spese belliche, non ha neppure cercato di affrontare i grandi problemi del Paese.
La Cina, che rappresenta quasi il 20% dell’economia mondiale, vede una riduzione del PIL al 4,5%, impensabile in Occidente, la crisi immobiliare e una possibile frenata delle esportazioni, minacciate dai dazi americani ed europei, e ha risposto con il blocco delle terre rare, indispensabili alle moderne tecnologie. A fronte del rischio d’una guerra commerciale con forti ripercussioni sull’economia mondiale, il Paese ha varato importanti misure di sostegno alle imprese.
Il fronte più caldo è quello dell’Unione europea, presa tra due fuochi della concorrenza dei giganti, statunitense e cinese, che sembra incapace di contrastare, perché priva d’una strategia unitaria e divisa da profonde contraddizioni politiche, con una Commissione fragile e spostata a destra. Intanto Stellantis ha firmato un accordo per vendere in Europa i veicoli elettrici prodotti dalla cinese Leapmotor.
Il successo elettorale di Trump – con l’“America First”, sul sentiero della guerra commerciale col resto del mondo, per l’imposizione autoritaria e unilaterale della supremazia degli interessi statunitensi, ignorando l’OMC, con pesanti dazi sulle importazioni, specie cinesi ed europee – produrrà un notevole rallentamento dell’economia mondiale. Indebolendo e frammentando il sistema globale, accentuando il declino economico statunitense e dei Paesi avanzati e stimolando la creazione di una moneta di scambio alternativa al dollaro da parte dei Brics, che produrrebbe un netto ridimensionamento del tenore di vita negli Stati Uniti.
Particolarmente colpita è l’economia europea, trainata dalle esportazioni, e dunque molto sensibile alla perturbazione dei flussi commerciali determinati dall’imposizione di dazi protezionistici statunitensi, e dalle rappresaglie degli altri Paesi, a partire dalla Cina, con un impatto decisivo nella riduzione delle già precarie prospettive di crescita del PIL e dell’occupazione, mettendo in difficoltà i settori chiave, come quello automobilistico e chimico, che dipendono dal commercio con gli Stati Uniti.
In caso di conflitti commerciali prolungati a lungo termine, anche l’adozione di dazi di ritorsione non eviterebbe pesanti conseguenze sulla tenuta economica dell’Europa. Il settore manifatturiero, già in forte recessione, subirebbe ulteriori gravi perdite ed alcuni dei suoi principali comparti di esportazione (auto, meccanica, chimica, farmaceutica, alimentari, beni di lusso) subirebbero un duro colpo, in particolare in Italia, con effetti assai devastanti su PIL, bilancia commerciale, investimenti, occupazione e crescita, col rischio di una pesante recessione. Potrebbe essere un colpo letale per le aziende tedesche, sia di export che di import, anche per quelle che hanno impianti produttivi negli USA.
Vari economisti hanno detto che, per l’aumento dei dazi, “l’eurozona potrebbe scivolare in recessione”, che i dazi “causerebbero un crollo delle esportazioni verso gli Stati Uniti”, colpendo in particolare la Germania l’Italia e l’Olanda “causando un crollo delle esportazioni verso gli Stati Uniti”. Ma anche gli USA avrebbero conseguenze, con l’1% di minor crescita e un aumento dei prezzi, specie di auto e alimentari.
Che fare? Nel quadro del declino dell’Occidente, a fronte dell’impetuosa crescita dei paesi emergenti, l’UE risulta molto debole e impotente, in crisi di prospettive, con una classe politica incapace e incompetente. Un’organizzazione intergovernativa (IPBES) ha votato, nel dicembre 2024, il progetto di “cambiamento trasformativo”, che intende cambiare le attuali opinioni dominanti, le quali hanno contribuito alla crisi attuale, con una trasformazione delle opinioni (modi di pensare, conoscere e vedere), delle strutture (modi di organizzare, regolamentare e governare), e delle pratiche (modi di fare, comportarsi e relazionarsi), con un approccio sistemico di intervento globale. Tenendo conto che società, clima, economia e natura costituiscono un insieme altamente interconnesso e devono essere affrontati nella loro complessità.
Per uscire dall’attuale vicolo cieco serve un “nuovo contratto sociale” universale, capace di avviarci verso un “cambiamento di paradigma”, basato su obiettivi comuni e sul criterio della solidarietà e della “equità intergenerazionale e di genere”, per salvaguardare la vita delle generazioni future.
Giancarlo Saccoman
Pubblicato il 16 Gennaio 2025