Mutualismo e conflittualità: per rilanciare il sindacato
Da qualche decennio, il modello sindacale italiano è consistito in una consolidata struttura di servizi di assistenza per i singoli lavoratori ma è anche sicuramente stato caratterizzato da continui e infiniti negoziati contrattuali. Una sorta di co-gestione “di fatto” con le imprese che, alla luce di una crescita inarrestabile della precarizzazione del lavoro, delle disuguaglianze e del diffondersi del lavoro povero, sta evidenziando una grave inadeguatezza.
Nel report sulla precarietà redatto dalla CGIL Lazio nel 2023, ad esempio, si prende atto della grande ascesa di forme di lavoro atipiche e molto precarie, a causa delle quali gran parte dei lavoratori e delle lavoratrici si trova esclusa dalle tradizionali forme di rappresentanza sindacale.
Il modello italiano di contrattazione lineare e di co-gestione persiste dentro la logica liberale del “mercato del lavoro” ma al contempo, da moltissimi anni, la working class è sottoposta a difficoltà sempre più importanti.
Secondo i dati Istat, in Italia lo scorso anno 4,5 milioni di persone hanno rinunciato a visite ed esami sanitari, e 2,5 milioni di esse lo ha fatto per motivi economici. I già bassi salari reali, sono stati ulteriormente divorati dal processo inflattivo che ha colpito ferocemente le classi più povere e soprattutto le lavoratrici che devono sopportare anche il gap di genere.
L’inerzia pachidermica di questo processo sociale ha creato importanti fenomeni. L’insieme delle relazioni sociali in cui i lavoratori configurano la propria esperienza è sempre meno riferito agli “altri” e sempre più riferito a “se stessi” e quindi, sia dentro le organizzazioni sindacali che dentro i partiti, aumenta l’incapacità di affrontare percorsi collegiali sui quali poi poter costruire processi di partecipazione e mobilitazione.
La spinta individualista è molto ostile sia all’elaborazione di analisi collettive che alla solidarietà verso chi deve lavorare per sopravvivere, e genera una perdita di ruolo dei soggetti di rappresentanza, ovvero una disintermediazione delle organizzazioni sociali, molto pericolosa per la pluralità e per la democrazia reale sui posti di lavoro.
Nelle grandi fabbriche manifatturiere italiane la crisi dei corpi intermedi si traduce nel diffondersi del trasformismo sindacale che rende sempre meno efficace la capacità d’azione e determina ripercussioni significative sulle dinamiche del lavoro e sulla rappresentanza dei lavoratori, rendendo impossibili la collegialità, la cooperazione e le mobilitazioni. Nelle assemblee e nei direttivi di fabbrica pare mancare una cornice condivisa di dialogo e le discussioni si traducono spesso in una sostanziale sterilità.
Il sociologo e docente di Storia del Movimento Operaio Pino Ferraris diceva che “il reciproco aiuto per servizi di tipo mutualistico diventa momento di costruzione della solidarietà e della coesione necessaria ad esprimere la forza della rivendicazione sindacale”.
Esiste la necessità di stabilire e poi costruire un nuovo modo di interpretare l’intervento della rappresentanza che, insiemealla contrattazione, necessita l’avvio di processi di mutuo sostegno tra le lavoratrici e i lavoratori.
In Francia, ad esempio, è stato possibile costruire lunghi percorsi di lotta grazie all’utilizzo delle casse di mutuo soccorso, delle casse di resistenza oppure addirittura di veri e propri “fondi di sciopero” istituiti dalle organizzazioni sindacali come CGT con altri soggetti sociali, su scala locale o nazionale. Questi strumenti, fondati sulla condivisione e sulle assemblee intersindacali, hanno permesso di fronteggiare le enormi perdite di salario che si sarebbero avute nelle fasi di mobilitazione e lotta sociale e, contemporaneamente, di contrastare le molteplici strategie messe in atto dalle imprese e dal governo per ostacolare gli scioperi. Soprattutto i fondi di sciopero hanno stabilito un nuovo equilibrio di forze.
In Italia tutte le organizzazioni fanno fatica a costruire mobilitazioni a seguito di una combinazione di fattori. La maggioranza di lavoratori a bassa retribuzione e contrattualizzazione precaria è riluttante a scioperare, la frammentazione delle vertenze indebolisce una visione collettiva di lotta e si assiste ad un arretramento progressivo di diritti e salari. Questo contesto consente anche una messa in discussione del diritto di sciopero sia da parte delle imprese che adottano strategie per ridurre gli effetti delle poche mobilitazioni, sia perchè i governi stanno sferrando un poderoso attacco contro il dissenso. Un esempio in questo senso è dato dalle tante precettazioni degli scioperi degli ultimi due anni e dal disegno di legge 1236 (disposizioni in materia di sicurezza pubblica) del Governo Meloni, che contiene un tentativo più che evidente di indebolire il dissenso democratico e gli scioperi.
Ci sono stati però esempi di mobilitazione di lavoratori delle ultime generazioni che hanno ridato speranze per una ripresa radicale dei rapporti di forza. La vittoria, per niente scontata, dei rider di JustEat senza contratto collettivo e sottoposti ad un modello di sfruttamento e precarietà assoluta che le multinazionali digitali hanno imposto al mercato, ha esaltato un modello di organizzazione democratica dal basso, molto radicale, assolutamente compatibile con il sindacalismo confederale, che ha portato a risultati importanti. Si è trattato di un embrione di costruzione di alleanze sociali che ha creato connessioni tra le difficili condizioni di lavoro e l’esplosione della conflittualità, su cui sarebbe auspicabile investire dal punto di vista sindacale.
Diviene quindi necessario cominciare a pensare a momenti di collegialità intersindacale finalizzati alla costruzione di un sindacato sociale e mutualistico e che rilanci i rapporti di forza.
Approccio che non può prescindere da principi di solidarietà, cooperazione e inclusione, e che deve costruire reti di supporto tra i lavoratori e le lavoratrici, promuovere la cultura della cooperazione solidale, avviare progetti di welfare e supporto, anche per i lavoratori autonomi, attraverso la creazione di “fondi di sciopero” o “casse di resistenza” sul modello francese.
Innescare un simile processo sociale potrebbe consentire di costruire una vertenzialità su scala più ampia attraverso il continuo confronto tra lavoratori in lotta, associazioni civili, territori e movimenti sociali al fine di rilanciare la rivendicazione e la lotta per i diritti e la dignità dei lavoratori, superando le divisioni di settore e di categoria.
In Italia, già in alcune realtà locali, si stanno sviluppando esperimenti incoraggianti di sindacalismo mutualistico e solidale. Progetti che uniscono lavoratori di settori diversi, che promuovono la formazione continua, la tutela dei diritti e la creazione di comunità forti e coese, dimostrano che è possibile costruire un’alternativa efficace al modello attuale.
La lotta del Collettivo di Fabbrica ex GKN di Campi Bisenzio-Firenze ne è un concreto esempio. Nel 2021, 422 dipendenti della GKN ricevono una e-mail in cui viene loro comunicato l’avvio della procedura di licenziamento. Lavoratrici e lavoratori, già uniti in un collettivo di fabbrica, iniziano immediatamente un percorso di lotta recandosi presso lo stabilimento ed occupandolo. Da quel momento comincia una delle storie di conflitto sociale più importanti degli ultimi decenni. Nei periodi più duri della lotta, a sostegno del percorso collegiale, dell’assemblea e del presidio permanenti, il mutualismo e le casse di resistenza si sono rivelati strumenti fondamentali per supportare gli operai senza stipendio per lunghi periodi.
È stata promossa una campagna denominata “resistere all’inverno, prenderci la primavera” in cui a fronte di 12 mesi senza stipendio, di un gioco di perenne logoramento da parte della proprietà, di una crisi devastante dell’automotive, il collettivo di fabbrica insieme ad una pluralità di realtà solidali, a partire dalla “SOMS – Società operaia di mutuo soccorso Insorgiamo!”, ha ottenuto un piano di reindustrializzazione sempre più dettagliato per una transizione ecologica giusta, una legge regionale per i consorzi pubblici industriali, ma soprattutto, resistendo, ha dimostrato l’importanza delle pratiche mutualistiche nella lotta. A testimonianza del lavoro del collettivo ci sono: la produzione della “Cargobike elettrica con la lotta intorno” e la relativa distribuzione solidale, il festival della letteratura working class con la partecipazione di Edizioni Alegre, la distribuzione della birra autoprodotta, il mutuo supporto della rete “Fuorimercato”, le donazioni dirette alla “Soms Insorgiamo!”, la rete costruita nel tempo sull’intero territorio nazionale. Tutto questo è consultabile sul sito www.insorgiamo.it.
Proprio la rete “Autogestione in movimento – Fuorimercato” composta da lavoratori e lavoratrici nativi e migranti, diffusa in diverse aree urbane e rurali in Italia è un altro esempio cristallino di sindacalismo mutualistico e conflittuale. Terre autogestite, fabbriche e spazi urbani recuperati, economie mutualistiche basate su scambi cooperativi provenienti da filiere agroalimentari e artigianali – sono luoghi e attività che rispondono a bisogni immediati da parte di lavoratori e lavoratrici precarie con contratti saltuari, soggetti a lavoro sommerso e mancanza di garanzie abitative, di reddito, di accessibilità servizi di welfare pubblico. Queste pratiche si basano su forme dell’associazionismo sindacale che combinano la “solidarietà contro” le ingiustizie dentro e fuori i luoghi di lavoro, dando vita a vertenze di resistenza e lotte per i diritti con la “solidarietà per” costruire sia casse di mutuo soccorso che nuove forme di lavoro basate sulla cooperazione, la gestione da parte dei lavoratori e delle lavoratrici della produzione e della distribuzione.
Si tratta di strumenti associativi che, grazie all’art. 11 dello Statuto dei Lavoratori, permettono la promozione su qualsiasi posto di lavoro di attività culturali, ricreative e assistenziali.
Questi esempi pratici di conflittualità solidale impongono alle organizzazioni sociali una riflessione capace di superare l’ottica della sola rappresentanza, per elaborare anche una prospettiva di sostenibilità del lavoro in connessione col territorio in chiave di integrazione sociale ed ambientale.
Tutte e tutti insieme “Fino a che ce ne sarà”.
Felisiano Bruni
Fiom-Cgil Bari
Gianni De Giglio
Fuorimercato Bari
Pubblicato il 29 Gennaio 2025