“Giustizia per Mattia Battistetti, sicurezza sul lavoro per tutti”
Intervista a Monica Coin, delegata RSU e RLS presso l’Ispettorato del lavoro di Venezia
“Mattia era un ragazzo di 23 anni, che il 29 aprile 2021 venne travolto e uccisi in un cantiere edile dal carico di una gru, posta in manutenzione soltanto sulla carta. C’è un processo in corso in cui sono indagate tutte le imprese che operano nel cantiere, dall’assegnataria fino ai diversi gradi di appalto”. Così Eliana Como presentava mamma Monica all ‘assemblea sindacale Same, che ha rinunciato all’offerta di risarcimento presentata dall’azienda per essere parte attiva nel procedimento penale, chiedendo innanzitutto giustizia (cfr. ‘Progetto Lavoro’ n. 14/24). Lo scorso 13 gennaio, dopo un ‘ attesa di mesi, si è svolta l’udienza dibattimentale, che ha visto la partecipazione di una consistente delegazione di Radici Del Sindacato. La nostra area ha deciso di seguire il processo con particolare attenzione, non solo per legittima sete di giustizia, ma nella convinzione che possa essere un contributo alla capacità propositiva della Cgil, ritenendo che nell’analisi degli atti vi sia un po’ tutto ciò che può essere fatto – e che non deve essere fatto – in materia di prevenzione attiva.
Per capirne di più, ne parliamo con la dr.ssa Monica Coin, delegata sindacale RSU dal 2013 presso l’ispettorato del lavoro Area metropolitana di Venezia (IAM) e RLS presso lo stesso ente, aderente all’Area ‘Le Radici del Sindacato’ CGIL. Monica, che molti hanno conosciuto come relatrice al convegno di Padova dell’area ‘Le Radici del Sindacato’ del 2 febbraio 2024, è ispettrice del lavoro ordinario ed è adibita ai controlli in azienda sulla regolarità giuridica dei rapporti di lavoro (lavoro nero, grigio, legittimità della documentazione di lavoro e dei contratti), ma necessariamente anche dell’igiene e sicurezza in cantieri edili e aziende, dopo che il Decreto fiscale Draghi ne ha attribuito i compiti di verifica anche alla sua figura professionale.
Il processo sul caso Mattia Battistetti vs. Bordignon è seguito dall’ attenta presenza in aula di Radici Del Sindacato. Che cosa sta emergendo in dibattimento e quali possono essere di conseguenza le soluzioni al fenomeno infortunistico?
Sto seguendo fin dall’inizio questo processo e fin dall’inizio mi sono posta delle domande circa la dinamica dell’infortunio mortale che ha coinvolto la giovane vita e la famiglia di Mattia Battistetti, e questo per due motivi. Il primo certamente per sincera empatia verso la vittima, e per vicinanza alla sua famiglia, che sta lottando per qualcosa che va oltre il dolore per la perdita di un figlio, che riguarda il movimento sindacale e tutti noi che difendiamo i lavoratori. Il secondo motivo è di interesse professionale. Questo processo comprende quasi tutte le criticità in materia di sicurezza che possono essere presenti in un cantiere: la formazione dei lavoratori, la segnaletica per il passaggio e la cartellonistica all’interno dell’area, la sicurezza dell’uso e manutenzione delle attrezzature (GRU), il sistema degli appalti e il loro coordinamento all’interno dei cantieri mobili, la corretta valutazione dei rischi di interferenza fra le varie lavorazioni, le regole di montaggio, uso e smontaggio dei ponteggi necessari per i lavori in quota, i carichi sospesi e il loro transito nello spazio delimitato delle lavorazioni.
Nel corso del processo stanno emergendo molte carenze relative al rispetto di queste norme.
Tu parli di carenze. Proviamo a fare in poche parole una radiografia a un evento infortunistico come quello di Mattia, dall’inizio di una normale giornata di lavoro fino al suo tragico epilogo.
Il fenomeno infortunistico in generale può essere diviso in due parti logiche. C’è un “prima dell’infortunio”, c’è un “dopo l’infortunio”. La normativa antinfortunistica che fa riferimento al D.lgs. 81/2008) prescrive tutta una serie di norme, generali e specifiche per ogni settore produttivo, che servono a preveniregli infortuni, tanto per cominciare prevedendo prima dell’attività produttiva quali rischi sono possibili nello svolgimento della mansione (con il Documento di Valutazione dei Rischi o DVR), nello specifico sito produttivo. Queste norme hanno essenzialmente un carattere prevenzionistico e sono dotate di una sanzione, amministrativa o penale, se non vengono rispettate; ovviamente anche se non è successo nessun infortunio e tutto è filato liscio. Ma la prevenzione resta fondamentale. Ad esempio, se in una azienda operante con macchinari specifici risulta a seguito di una ispezione degli organi di controllo che i lavoratori non hanno ricevuto alcuna formazione specifica per l’uso delle macchine, viene applicata alla violazione una sanzione commisurata al numero di lavoratori impiegati all’uso delle macchine, indipendentemente dal fatto che in quella azienda sia o non sia capitato un infortunio. Riguardo al dopo la normativa antinfortunistica non ha più una funzione deterrente, in modo che sia applicata una sanzione e quindi spingere alle cautele per evitare gli incidenti. Però in sede giudiziaria diventa una “mappa” di ricostruzione degli eventi come accaduti e soprattutto diventa un importante elemento per ricostruire la responsabilità dei fatti. In particolare i primi due commi dell’art. 589 del Codice penale statuiscono: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni”. Quindi chi è responsabile di un infortunio sul lavoro (anche non mortale ma con lesioni alla persona per il reato di lesioni colpose) lo è perché precisamente non ha rispettato le norme prevenzionistiche e questo, all’interno di un nesso di causalità, ha provocato il fatto.
Riguardo al dopo, ‘Le Radici del Sindacato’ ha più volte messo in evidenza l’inadeguatezza delle pene previste per un evento colposo, che molto difficilmente prevede il carcere per il datore di lavoro anche di fronte allo spregio più cinico delle norme antinfortunistiche. Tuttavia, le conseguenze di un grave infortunio restano drammatiche e costose. Cosa si può fare per evitare una tragedia? Esiste una strategia, per così dire?
Se parliamo di strategia per una azienda essa è già contenuta nella legislazione italiana in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, una normativa molto avanzata nel panorama europeo, forse perfettibile, ma che se solo venisse rispettata, eviterebbe moltissimi infortuni e malattie professionali. Il rischio zero purtroppo non esiste, le attività umane sono per sé stesse rischiose. Paradossalmente chi dice di azzerare i rischi in una azienda non li ha mai correttamente valutati. La “strategia” del testo unico sicurezza è proprio quella di valutare tutti i possibili rischi di una attività lavorativa, di predisporre misure adeguate per limitare la possibilità che gli eventi infortunistici avvengano e di rispettare le stesse misure adottate. Dove non arriva il datore di lavoro sopperisce la legislazione, ma è domandato soprattutto al potere datoriale di valutare i rischi e di organizzare il lavoro con le cautele o i dispositivi stabiliti nel documento di valutazione dei rischi. Riguardo all’uso delle attrezzature di per sé contenenti un rischio potenziale come ad esempio la GRU, la normativa prevede stringenti normative riguardo al suo montaggio, manutenzione e uso, (devono essere rispettati i componenti del costruttore e le modalità di assemblaggio previste da parte di personale formato e competente; la gru deve avere una manutenzione e un controllo a scadenze precise, anche da parte di organi pubblici preposti; la sua movimentazione deve essere fatta a regola d’arte da parte di personale con apposita autorizzazione e formazione e con determinate cautele). Ma ciò non è sufficiente. In un cantiere edile dove sono presenti molteplici ditte la gru dovrà essere posizionata in un luogo adeguato, il suo braccio e il carico sospeso non devono transitare in luoghi dove sia previsto il passaggio di lavoratori, ove ciò non sia possibile devono essere previsti segnali acustici di avviso, ecc. ecc. Intendo dire che una normativa astratta deve sempre poi essere calata nei luoghi concreti ove si svolge il lavoro, dove gli spazi sono delimitati e contemporaneamente devono consentire in sicurezza la convivenza di più ditte e quindi più lavorazioni. Il concreto momento in cui il rischio può essere compreso e limitato è proprio nella formazione dei documenti di cantiere, in particolare il PSC (piano di sicurezza e coordinamento di tutte le ditte coinvolte) e il POS (piano operativo di sicurezza della singola azienda), dove devono essere previste le modalità operative nel singolo cantiere. Se bastasse la sola legislazione il datore di lavoro non avrebbe l’obbligo di elaborare il DVR. Una volta individuati i rischi i lavoratori devono essere formati e informati su questi e devono essere predisposte le misure di riduzione del rischio.
Tutto ciò è disciplinato dalla legge, da dettagliate circolari in materia e da buone prassi, ben note. Che cosa non sta funzionando, allora? Che cosa ti sentiresti di suggerire al legislatore?
E’ soprattutto la prevenzione l’anello debole della catena. I controlli non sono adeguati perché sono svolti da enti in cronica deficienza di organico. Anche con una normativa avanzata come la nostra se le norme restano sulla carta e non vengono applicate per la scarsa deterrenza dei controlli, non hanno alcuna efficacia per disciplinare i comportamenti nel senso della sicurezza. Bisogna assumere un maggior numero di funzionari ispettivi, sia tecnici che ordinari, e organizzare i vari enti di controllo in modo che fra di essi vi sia un vero coordinamento e una vera sinergia. Quanto alle sanzioni trovo inadeguate soprattutto quelle relative alla responsabilità per gli infortuni occorsi, il dopo per intenderci. Bisognerebbe andare nella stessa direzione dell’omicidio stradale coniando l’omicidio sul lavoro. Un datore di lavoro che mette consapevolmente a rischio per denaro l’incolumità dei propri dipendenti è colpevole tanto quanto chi si mette alla guida sapendo di essere ubriaco, e uccide un pedone. Le analogie sul rischio da attività umana ricorrente sono molto simili, ma se non altro anche solo per guidare un’utilitaria bisogna sostenere un esame e almeno dimostrare di conoscere il codice della strada, mentre un imprenditore senza alcuna esperienza può aprire una impresa di costruzioni. Questo è senza dubbio un elemento di riflessione. Quanto alle sanzioni per aver ucciso con la sua attività una persona per semplice negligenza, non risultano certo adeguate. Trovo che non funzioni anche il momento in cui le responsabilità devono essere accertate. I processi rischiano spesso la prescrizione anche in ragione del fatto che la materia è molto specialistica e spesso i magistrati non sono sufficientemente preparati ad affrontarla. Ritengo molto sensata la proposta della creazione di una Procura Nazionale specializzata in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
La creazione di una procura ad hoc è un punto fondamentale, oltre all’inasprimento delle pene, anche se in molti casi sarebbe bastato che ciascuna procura avesse considerato prioritaria l’azione penale in caso di infortuni sul lavoro, come avvenne a Prato dopo il più grave infortunio sul lavoro della storia nazionale del marzo 2014, quando 7 operai cinesi morirono nel rogo del loro capannone, e come avviene quando una morte sul lavoro ha un certo impatto mediatico. Ma non sempre è così. Tornando alle norme, credi che il decreto legislativo 81, a 17 anni dalla sua approvazione, vada ripensato?
Credo che l’impianto resti valido. Vi sono alcune carenze da colmare (ad esempio i decreti delegati specialistici che ancora devono trovare una specificazione per settore), alcuni difetti relativi ad esempio alla formazione dei datori di lavoro e alla figura del RLS, come alla divulgazione del DVR a tutti i lavoratori e alla certezza legale della data di redazione dell’atto. Bisogna tornare alla data certa, non ci si può accontentare delle firme dei soggetti coinvolti, perché troppi documenti spuntano dal nulla dopo l’accesso ispettivo. Detto questo, le carenze possono essere colmate su un impianto che, nonostante alcune riforme peggiorative, rimane ancora valido. Trovo invece più pericolosa l’idea stessa di “ripensamento” con l’aria che tira ultimamente. L’idea di non disturbare le aziende che producono potrebbe inserirsi in materia negativa in un azzeramento dell’impianto del Testo Unico con la scusa di migliorarlo. Si può migliorare senza cancellare tutto.
Davide Vasconi
Pubblicato il 29 Gennaio 2025