Automotive: quanti rischi nella transizione ecologica
Il sistema di Relazioni Industriali europeo è al centro di fenomeni di transizione e cambiamento profondi: la pandemia da Sars-CoV-2, la guerra Russo-Ucraina, la crisi dell’approvvigionamento dei semiconduttori, l’aumento dei costi dei combustibili fossili ed, infine, la transizione energetica, hanno messo in discussione l’organizzazione della produzione industriale nel Vecchio Continente.
Tutti i fenomeni menzionati hanno colpito gravemente il settore dell’automotive, uno dei più importanti del sistema produttivo europeo ed italiano.
La Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 14 marzo 2023, per la modifica del regolamento (UE) 2019/631, dovrebbe introdurre il divieto, a partire dal 2035, di vendere auto e furgoni con motore endotermico. La notizia ha messo in allarme le Parti Sociali in tutta Europa dopo che, nel corso dell’intero processo di approvazione dell’iniziativa legislativa, avevano più volte denunciato la necessità di strumenti di accompagnamento alla transizione ecologica. Le associazioni di categoria chiedono incentivi sull’acquisto delle vetture, mentre i Sindacati rivendicano investimenti pubblici e maggiore chiarezza in merito alla definizione di politiche industriali che consentano ai lavoratori di affrontare la transizione senza temere per il proprio futuro occupazionale.
Uno studio commissionato dalla CLEPA (European Association of Automotive Suppliers) ha rilevato che un approccio alla trasformazione del mondo automotive esclusivamente basato sui veicoli elettrici metterebbe a rischio oltre mezzo milione di posti di lavoro nell’UE. In Italia, ad esempio, la componentistica auto è un’industria importante per il Paese, con un fatturato annuo di 45,6 mld nel 2020 e 160 mila dipendenti. Con la transizione all’elettrico forzata dall’Unione questo pilastro della manifattura nazionale è a forte rischio. Bosch ha annunciato 700 esuberi nello stabilimento di Bari nei prossimi cinque anni, e Magneti-Marelli ha dichiarato che procederà con il licenziamento di 550 dipendenti su un totale di 7.700 occupati entro giugno 2023.
Quanto poi ai costruttori, l’AD del Gruppo Stellantis ha ribadito che la transizione ecologica determinerà una riduzione occupazionale importante del settore. Oltre ai 7 mila posti di lavoro persi nel 2021, l’ultimo accordo per esodi incentivati riguarderà circa 2.000 uscite pari a circa 4,4% su un’occupazione totale in Italia di circa 47.000 persone.
Dinanzi ai numeri di questo fenomeno, che rischia di avere effetti deflagranti sul clima sociale interno del Paese, il Sistema di Relazioni Industriali italiano esige un ruolo centrale del Sindacato.
L’incentivo all’esodo ha consentito due anni di riduzioni di personali silenziose e senza conflitto, riconducendo il problema dell’esubero alla scelta individuale del lavoratore esasperato, da un lato, dalle condizioni alienanti della catena di montaggio e, dall’altro, dalla possibile crisi occupazionale che comunque si pone costantemente come rischio per la tenuta del proprio posto di lavoro.
Due anni di utilizzo massiccio dello strumento hanno condotto all’attuale situazione. Con, da una parte, la deresponsabilizzazione del datore di lavoro (che, di fatto, ha la possibilità di rivendicare una gestione pulita della crisi avvenuta senza licenziamenti collettivi, nonostante sia in atto un’espulsione di massa della manodopera dal mondo del lavoro); e, dall’altra, lo sgomento dei lavoratori che, nonostante le rassicuranti dichiarazioni aziendali, assistono allo smantellamento di siti produttivi.
Antonella Gravinese
Pubblicato il 27 Giugno 2023