Caso Soumahoro: ai migranti non servono eroi
Per come conosco Aboubakar Soumahoro, possiamo esprimere un giudizio sul piano politico-sindacale, non sapendo nulla – se non quanto si legge – di ciò che gli viene attribuito dai giornali a proposito di presunti traffici suoi o dei suoi familiari. Su questo versante sarà compito della magistratura dirci come stanno le cose: di certo i giornali e le tv amano distorcere spesso e volentieri la verità, come è loro ormai ordinario malcostume, diffondendo informazioni drogate e stupefacenti. Come quando si è letto, ad esempio, che il centro d’accoglienza in questione versava in condizioni degradate: sarebbe interessante andare a vedere le condizioni in cui versano tutti gli altri centri, per accorgersi dello standard di degrado generale.
Il sistema mediatico desidera oggi creare il “mostro” Soumahoro, così come allo stesso modo lo aveva definito leader (il Di Vittorio dei braccianti africani, una sorta di Papa straniero per la sinistra), fino a condurlo in Parlamento.
Chi scrive ha lavorato insieme a lui – in qualità di responsabile delle politiche per l’immigrazione della Cgil, quando lui rappresentava il sindacato USB – alla preparazione, molto laboriosa, per raggiungere l’obiettivo di creare la convergenza più unitaria possibile di tante organizzazioni ed associazioni, piccole e grandi molto diverse tra loro, per una manifestazione nazionale contro i “decreti sicurezza” del 2009: fu una grande manifestazione e mettemmo insieme circa 500 associazioni. Costruire il rapporto ed il clima unitario richiese molta pazienza e tolleranza, proprio rispetto al comportamento esagerato, egocentrico – con tendenze alla prepotenza e all’autoritarismo, soprattutto nei confronti dei suoi compagni – tenuto da Soumahoro.
Considerando la crescita del personaggio, la popolarità e l’investitura messianica che ne è seguita, se ne può trarre una riflessione sui canoni del sistema mediatico postberlusconiano nel selezionare i volti da copertina ed i leader politici di successo. Infatti, oggi fa impressione la pantomima dei giornalisti che rimproverano Bonelli e Fratoianni di averlo candidato con superficialità, senza accorgersi di alcuni risvolti: perché, i giornali e le tv che lo hanno ospitato in tutti i talk, che lo hanno messo in copertina, che lo hanno promosso come leader indiscusso non solo dei lavoratori immigrati, ma di tutta la sinistra, si erano forse accorti di “qualcosa”?
Ma se gli aspetti prossimi al gossip voyeuristico non meritano alcuno spazio su queste pagine, è invece interessante soffermarsi sulla narrazione delle lotte dei braccianti immigrati contro le condizioni di supersfruttamento e neoschiavismo; ritenendo che sia importante ricostruire la verità a tale riguardo, più che sui comportamenti di Soumahoro. Secondo la narrazione mediatica, assecondata da Abubakar, sembra che la storia delle lotte dei migranti coincida con la sua storia, cominci con lui e finisca con lui. Ma non è così.
Non è infatti accettabile questa identificazione personalistica, perché sminuisce la portata dei problemi che riguardano i lavoratori migranti. Va evitato che, per farli venire a galla, ci sia bisogno di eroi e che il fango, vero o presunto, gettato sui medesimi possa sommergere bisogni ed aspirazioni di emancipazione di comunità intere.
Non è vero che il primo sciopero dei braccianti migranti contro il caporalato pugliese sia stato organizzato da Aboubakar, bensì risale a prima, all’estate del 2011 a Nardò (nel leccese): il leader di quella protesta si chiama Yvan Sagnet e quella protesta si sviluppò nel contesto di un centro di accoglienza, non omologato, anomalo, la masseria Boncuri, gestito dalla onlus Finis Terrae e dalle brigate di solidarietà. Non c’era traccia di gestioni familiari o parentali e soprattutto si contrastava il caporalato organizzando le liste di prenotazione. Dopo 10 giorni di sciopero, quelle liste diventarono un accordo sindacale firmato con il comune e con l’Unione agricoltori. Si trattava di un centro che operava di concerto con le Organizzazioni Sindacali e con l’amministrazione comunale per combattere il caporalato ed offrire una modalità alternativa e legale di incontro con la domanda di manodopera degli imprenditori agricoli. Fu un’esperienza talmente virtuosa che… il Ministero dell’Interno, l’anno successivo, cessò di finanziarla, decretandone la chiusura. Forse chi vuole speculare politicamente sul tema-immigrazione, ha infatti interesse a mantenere i problemi e le criticità, anziché risolverle.
Ci sono tanti altri immigrati sindacalisti che hanno prodotto lotte, vertenze ed avanzamenti nelle condizioni di lavoro, salario e diritti sociali (Aly Baba Faye, Alioune Gueye, Moulay El Akkioui, Jean René Bilongo, Selly Kane, Kourosh Danech, Saleh Zaghloul, Jamal Qaddorah, Ibrahima Niane, Sonia Dotzti e Carolina Cardenas, per citarne solo alcuni e mi scuso con tutti gli altri), che non hanno avuto la stessa attenzione dei mass media, forse proprio perché più attenti al valore collettivo di quelle lotte e dei risultati, più che alla personale popolarità. Mentre il sistema mediatico sembra essere interessato più che altro ai leaderismi, che nascono e muoiono come accade nelle fiction.
Pietro Soldini
Pubblicato il 8 Dicembre 2022