“Condannare Israele, senza timidezze”
Nel confronto a più voci, nella prima sessione di dibattito sulla Palestina a Cinisi, i relatori si sono soffermati sulle denunce degli organismi internazionali e sui terribili effetti della strategia politico-militare di Israele
“Sulla Palestina la Cgil deve abbandonare la timidezza e intraprendere con chiarezza azioni concrete di boicottaggio verso Israele, messe già in atto da tanti sindacati, con in testa la CUT brasiliana”. Carmelo Chité, ‘Le Radici del Sindacato’ Sicilia, ha messo immediatamente i ‘piedi nel piatto’, introducendo (insieme a Noemi Colombo) la sessione pomeridiana del 7 maggio. Già, perché la “tre giorni” di Cinisi è andata ben oltre il ricordo di Peppino Impastato. O meglio, gli organizzatori (con Saverio Cipriano in testa) hanno giustamente attribuito allo straordinario militante siciliano assassinato il 9 maggio 1978 la capacità di unire, intorno al suo nome, storie ed esperienze capaci di travalicare la sacrosanta battaglia contro la mafia. Il tema dei diritti, delle libertà violate o delle conseguenze dell’oppressione ha attraversato infatti la vita spezzata di Peppino. Il suo esempio ha permesso alle decine e decine di persone convenute all’Hotel Magaggiari di confrontarsi sulla Giustizia, così come sul dramma in atto in Palestina.
I gravissimi fatti avvenuti in Israele il 7 ottobre 2023 hanno infatti dato il via ad una spaventosa ondata repressiva, che ha già causato oltre 30mila morti e destabilizzato enormemente tutta l’area mediorientale.
“L’obiettivo della strategia militare di Israele – ha osservato la regista Monica Maurer – è quello di eliminare quante più vite possibili tra le popolazioni palestinesi autoctone, dando attuazione ad un sistema coloniale sionista che ripercorre quanto accaduto negli Stati Uniti con i ‘nativi’”. Ma gli organismi di protezione internazionale utilizzano ormai, per quanto sta accadendo a Gaza, il termine ‘genocidio’: “Viene impedito l’ingresso nella Striscia dei camion con cibo e medicinali – ha ricordato Maurer – e, con la complicità degli Usa, l’Europa nega l’ipotesi di sanzionare Israele per non alterare il nuovo assetto mediorientale raggiunto con le varie guerre volute dagli Stati Uniti in questi decenni”.
‘Genocidio’ significa voler cancellare un popolo, una storia e una cultura: “A Gaza sono state distrutte le biblioteche, i musei. Nel 1982 a Beirut accadde lo stesso: distrussero ospedali, magazzini con il cibo e poi i luoghi di cultura”. Stiamo parlando oggi di Gaza, “che è strategica per il collegamento tra Asia, Africa e Europa – ha ricordato Maurer – e per secoli è stata una città caratterizzata da commerci fiorenti di spezie”. L’incrocio tra l’aspetto geopolitico e quello culturale ha contributo a costruire l’identità dei palestinesi, “che è fortissima e rappresenta il motivo per cui quel popolo punta sempre a costruire e ricostruire un futuro, anche dopo le distruzioni di questi decenni”.
Dunque, “dobbiamo alzare la voce a livello mondiale – ha concluso la regista – e ognuno di noi, nel suo piccolo, dovrebbe fare pressione per favorire le sanzioni verso Israele e per non permettere che la narrazione israeliana, la quale punta a riscrivere la storia, possa condizionare tante coscienze”.
Quel condizionamento colpisce moltissimo, ancorché da esperto di letteratura araba, Wasim Dahmash: “Da palestinese denuncio ciò che avviene in tutta l’area, non soltanto a Gaza; l’ufficio dell’Onu per i diritti umani presente in Palestina aggiorna ogni giorno il numero dei morti, quello delle case distrutte, e il dato è davvero impressionante”. Dahmash ha il grande pregio di saper leggere la realtà attraverso le arti letterarie e ha così incantato la platea con la lettura di poeti locali, che raccontano in versi il dramma della loro quotidianità, con sconforto, rabbia e talvolta persino disincanto.
Mentre sulla durezza dell’attualità si è concentrata Anna Maria Selini, giornalista freelance nonché autrice di reportage dalla Striscia e dalla Cisgiordania. “Ciò che accade a Gaza – ha ricordato – non è avulso da ciò che avviene nel resto della Palestina, perché sono aumentate le violenze dovunque, nei Territori Occupati, là dove sono stati armati maggiormente i coloni, dopo il 7 ottobre e, manco a dirlo, a 30 anni dagli accordi di Oslo”.
Selini ha raccontato che “non esiste, dal punto di vista israeliano, un solo ‘status’ palestinese, perché quel governo ha stabilito una sorta di gerarchia, pur tra cittadini di serie B”. La Cisgiordania era stata divisa in tre zone dopo gli accordi di Oslo “e, a seconda di dove abiti, hai sempre meno diritti”. Gli unici a poter contare su uno status decente sono coloro che hanno la doppia cittadinanza israelo/palestinese e, ad esempio, detengono il diritto di voto. “Ma dopo il varo della legge sullo Stato-Nazione, che ha stabilito come Israele sia ‘lo Stato degli ebrei’, neanche gli israelo/palestinesi possono definirsi detentori di diritti veri e propri: basti pensare che incontrano difficoltà anche solo per ottenere autorizzazioni alla ristrutturazione della loro casa…”.
Al secondo livello della scala sociale si posizionano i 300mila palestinesi di Gerusalemme est, che non hanno diritto di voto e quindi non possono essere definiti a pieno titolo ‘cittadini’. “Sono state costruite 7mila nuove case israeliane dal 7 ottobre a Gerusalemme est – ha raccontato la giornalista – per favorire l’espulsione di palestinesi anche da lì”.
Al terzo e quarto gradino ci sono gli abitanti della Cisgiordania (dove sono state comunque istituite le zone A, B, e C, dopo gli accordi di Oslo, e non dovunque si vive allo stesso modo) e quelli di Gaza.
Dal 7 ottobre in Cisgiordania sono state arrestate 9.000 persone, ha reso noto Selini, a fronte di 500 morti e 5.000 feriti, “nonostante dalla Cisgiordania non partano missili di Hamas”.
In tutto ciò, il cittadino medio israeliano “è spesso ignaro di ciò che succede ogni giorno in Cisgiordania, così come non sa che cosa compiono ogni giorno i coloni: perché i media ufficiali non lo raccontano”.
Paolo Repetto
Pubblicato il 26 Maggio 2024