Crisi economica, il sentiero stretto di Giorgia Meloni
Il sentiero stretto è una definizione che non ho mai apprezzato, ma il prossimo governo deve affrontare o governare qualcosa di più severo di un sentiero stretto. Non per sua volontà, ma in tre mesi non è possibile organizzare alcuna manovra economica di cambiamento e/o delineare una qualche iniziativa di politica economica plausibile. Sebbene tra il DEF e la NADEF a legislazione vigente vi sia un evidente miglioramento dei così detti conti pubblici, tale quadro programmatico è certamente figlio della storia economica recente, ma non della storia “presente” che manifesta un quadro economico internazionale, europeo e nazionale che mettono in discussione l’intero quadro programmatico: non è credibile e/o plausibile. Inoltre, se i saldi di bilancio sono migliorati, questo miglioramento è interamente legato alla crescita dei prezzi; questi prezzi hanno concorso all’aumento delle entrate fiscali. Nei primi sette mesi del 2022 le imposte dirette hanno avuto un aumento di 13.985 milioni di euro (+9,7%); di 16.336 mln (+14,3%) le imposte indirette, sostanzialmente imputabili all’aumento delle entrate IVA pari a 13.775 mln (+18,7%), così come all’IVA sulle importazioni per 5.004 mln (+62,4%), che riflettono la crescita dei prezzi di petrolio e gas. Le maggiori entrate, più che la crescita del PIL, sono il vero lascito del governo Draghi che non ha provveduto come poteva a migliorare la spesa, piuttosto ha privilegiato i saldi di bilancio dello Stato. Se guardiamo alla NADEF a legislazione vigente e al DEF di aprile, il miglioramento dei conti pubblici è impressionante. Questo miglioramento è molto evidente se osserviamo il saldo primario che passa da un meno 0,8% del PIL a 0,5%, con un riflesso sul rapporto debito/PIL che si riduce di 2 punti di PIL. Per intenderci, si tratta di 23 mld di euro che evidentemente potevano/possono anche essere impegnati se nel frattempo si modifica la legislazione vigente. Sebbene il saldo primario (il dare e l’avere al netto della spesa per interessi) sia importante per “governare” il rapporto debito/PIL, è difficile credere che il nuovo governo voglia utilizzare 23 mld di euro per restituire qualcosa alle famiglie che hanno concorso più del dovuto al miglioramento dei conti pubblici. Da un lato concorrono i vincoli europei, dall’altro la necessità di tenere sotto controllo il governo del debito. Più precisamente, nessuno intaccherà il saldo primario, se non molto a margine. Più credibile è un intervento sul deficit e/o meglio ancora sul deficit strutturale. Lo spazio è veramente un sentiero stretto. Forse è possibile intercettare 9 mld dal deficit o 16 mld se consideriamo il deficit strutturale. Si poteva e si potrebbe anche immaginare da un punto di vista economico-politico-sindacale che tutte la maggiori entrate rispetto al vecchio quadro programmatico fossero impegnate, ma penso che ciò non sia accaduto per creare una sorta di tesoretto da utilizzare quando necessario, senza ricorrere a nuovo debito. C’è poi il quadro macroeconomico. Il PIL, se saremo fortunati, crescerà dello 0,6 nel 2023. Difficile crederlo. Troppe variabili concorrono a un ridimensionamento molto più ampio. In troppi misurano la crescita dei tassi di interesse della BCE rispetto alla spesa per il servizio del debito pubblico. In effetti cresce di 14 mld nel 2023, ma ai più sfugge che l’aumento dei tassi di interesse impatterà in misura molto più ampia sulle imprese e sulle famiglie. Per dare una idea dell’impatto, la maggiore spesa per interessi sugli investimenti delle imprese potrebbe superare 3% del totale degli investimenti fissi lordi (quasi 10 mld di euro), mentre per le famiglie qualcosa di molto più grave: quasi 30 mld di euro. Quale è il punto? La combinazione tra crescita dei tassi, del servizio del debito delle imprese e delle famiglie, dello Stato, riduce la domanda aggregata al punto di creare un effetto demoltiplicatore che assomiglia molto a un effetto acceleratore in negativo. Non ci sarà nessuna paura della crescita dei prezzi, di norma si consuma appena possibile per non incappare nella crescita dei prezzi, che possa contrastare la paura della crescita della spesa legata al debito. Ci sarebbe almeno la possibilità di riconfigurare il peso del prelievo fiscale per contrastare l’effetto dell’aumento dei prezzi. Rispetto ai cosiddetti beni incomprimibili dei primi due quinti di reddito della popolazione, registrano un aggravio di almeno 650 euro annuo il primo e di 850 il secondo. Sebbene sia una azione meritoria, sarebbe del tutto insufficiente. Il paese deve redistribuire il reddito nel mercato e questo si ottiene attraverso un diverso equilibrio tra capitale e lavoro e non tra lavoro e Stato. Le ultime elezioni restituiscono una società cristallizzata. Il 26% degli elettori è storicamente di una parte. Questa parte non può governare il Paese in minoranza. C’è un enorme spazio sociale che le forze sociali possono occupare, in attesa che la classe politica possa diventare un poco più adulta.
Roberto Romano
Pubblicato il 16 Ottobre 2022