Il discorso del Presidente e la retorica del ‘superpartes’
Avendo optato per un cenone casalingo con un gruppo ristretto di amici e amiche, ho potuto ascoltare con attenzione il discorso del Presidente. Potrei tranquillamente unirmi al coro dei commenti del giorno dopo: un bel discorso, misurato, pacato, come il Presidente ci ha abituato a sentire. Un coro unanime e bipartisan, come se l’opposizione e il governo avessero rinunciato ad interpretare a proprio vantaggio le parole del Presidente, ed avessero rinunciato a polemizzare con lui su passaggi più o meno indigesti all’uno o all’altro. Ma questa retorica del “super partes” è diventata così stucchevole ed ipocrita da apparire maleodorante…
Alla fine, il risultato è che il “super partes” viene spinto così in alto da condurlo fuori dalla dialettica politica ed istituzionale; così da trasformare il contrappeso in controcanto. Senonché il controcanto lo può fare il Papa, che è un’Autorità religiosa, spirituale e morale. Ma non può farlo il Presidente della Repubblica.
Chi ha interesse a spingere fuori dalla dialettica politica il Presidente, se non chi pensa di neutralizzare il suo ruolo?
Quindi per questo obiettivo, si rinuncia ad interloquire, arrivando persino a liquidare i suoi moniti con plausi rituali e completamente avulsi dal merito e dal senso delle sue parole: prima si archivia il discorso di Mattarella e meglio è. Infatti, soltanto qualche giorno dopo, si è svolta la conferenza stampa (forse spostata dalla fine all’inizio dell’anno non a caso) del Presidente del Consiglio, senza alcun riferimento al discorso di Mattarella, né nelle domande dei giornalisti, né nelle risposte della premier: archiviato come se nulla fosse.
Eppure ci sarebbe da discutere. Mattarella si è riferito a problemi molto concreti, senza avere nessun potere esecutivo, mentre il capo del potere esecutivo ha parlato di geni visionari che ci guideranno nel tempo e nello spazio. Volendo far intendere che siamo tutti d’accordo con Mattarella, per quello che conta, ma non sembra proprio.
La politica perde sempre più credibilità proprio per questi meccanismi di astrazione e manipolazione del senso. Mattarella parla di detenuti nelle nostre carceri che devono “respirare”, mentre il Governo parla di “non” farli respirare: non è una dissonanza, è l’esatto contrario.
Mattarella parla di lavoratori e delle loro famiglie che non arrivano alla fine del mese, mentre il governo straparla di record dell’occupazione e di aumento del potere d’acquisto dei salari: non è una sfumatura, è l’esatto contrario.
Mattarella parla di crisi della democrazia e del bisogno di ascoltare la protesta, investendo sulla partecipazione attiva dei cittadini e delle cittadine, mentre il governo licenzia decreti per criminalizzare tutti coloro che si impegnano ad una militanza sociale e partecipano ad iniziative di mobilitazione: non è una sfumatura, è l’esatto contrario.
Mattarella invoca la necessità di destinare meno risorse in armi e più risorse nella riconversione ecologica, mentre il governo fa l’esatto contrario.
Mattarella parla di milioni di italiani meno abbienti o poveri, di anziani che non possono più curarsi perché non più coperti dal sistema sanitario nazionale pubblico, mentre il governo vaneggia di un altro record di risorse destinate alla sanità pubblica.
Mattarella, parla di immigrazione come risorsa, quindi di accoglienza, integrazione e cittadinanza, mentre il governo parla di sostituzione etnica, blocco navale e deportazioni in Albania. Blaterando di difesa dei confini, ma bisognerebbe piuttosto chiedersi chi li sta “attaccando” realmente: gli immigrati naufraghi nel Mediterraneo o piuttosto chi scavalca le frontiere via satellite?
Mattarella parla di un patriottismo umanitario e comunitario (sul quale avremmo anche qualche riserva sul piano politico-culturale), che si colloca comunque agli antipodi del patriottismo nazionalista, autoritario e militare di cui parla il governo e di cui si è discusso anche in queste settimane di ansia per il caso di Cecilia Sala. E se c’è un’espressione che ha sopravanzato il regime di silenzio stampa su quel caso, è stata quel “dobbiamo essere soldati”.
Io non voglio essere un soldato ed il mio senso civico non m’impedisce di dire che in questa circostanza il governo ha agito al meglio. Ma non si può dimenticare quando i governi hanno agito molto male in altre tragiche circostanze (Ilaria Alpi, Enzo Baldoni, Ilaria Salis), né dimenticare che ci sono decine di casi di italiani imprigionati nelle carceri di Paesi stranieri (non sempre democratici e che quindi non garantiscono diritti umani fondamentali né un giusto processo), rispetto ai quali il governo è chiamato a svolgere il proprio ruolo, per riportarli a casa.
Né dimentico che è ancora aperto il caso di Giulio Regeni, nei confronti del quale il Governo è reticente, per non dire altro.
Mattarella parla di pericolosi rigurgiti neofascisti e neonazisti, ha citato l’importanza della nostra memoria storica e richiamato la ricorrenza, nel 2025, degli 80 anni dalla Liberazione del nostro paese dal nazifascismo. Eppure non ci risulta che ci sia uno stanziamento a questo riguardo nella legge di bilancio appena approvata, mentre il governo è impegnato sia a schierare l’Italia dalla parte delle destre estreme dell’Europa e del mondo sia ad operare un revisionismo storico con l’obiettivo di liberarsi dell’antifascismo, negando anche simbolicamente la festa della Liberazione il giorno 25 aprile.
Il discorso di Mattarella è dunque costituzionalmente ispirato, ma decisamente in conflitto con un governo che ha nel suo programma l’obiettivo di riforme costituzionali demolitorie.
Forse, paradossalmente, l’unico argomento trattato da Mattarella sul quale si può senza dubbio riscontrare un consenso “bipartisan” attiene al ruolo dell’Occidente nella sua collocazione atlantica, con l’intenzione di rafforzare l’alleanza militare della Nato per difendersi dalla Russia, dall’Oriente e dal resto del mondo. Un argomento sul quale s’incontrano le componenti più importanti del Governo e dell’opposizione, ma che non trova il favore dell’opinione pubblica che, in maggioranza ma inascoltata, continua ad essere contraria alle guerre ed a questa strategia guerrafondaia. Tale contrarietà purtroppo non trova rappresentanza politica, ed è anche, a mio avviso, la ragione di una stagnazione dei sondaggi settimanali. Proprio qui invece registriamo il massimo della caduta di fiducia del popolo verso la politica, che quando non riesce ad ottenere il consenso blandisce autoritariamente, e con la forza, la ragione di Stato.
Pietro Soldini
Pubblicato il 16 Gennaio 2025