Insicurezza sul lavoro: davvero “mai più”?
“Mai più” è la tradizionale formula con cui si aprono i comunicati sindacali che denunciano l’ennesimo infortunio sul lavoro, assieme a “ora basta”. Ma se si prendono solo i dati Inail del primo quadrimestre 2023, 264 caduti, 66 al mese, 2/3 ogni santo giorno, si può capisce la sacrosanta indignazione che anima la Cgil, un po’ meno lo smarrimento e l’inadeguatezza con cui affronta il problema. “Mai più” viene ripetuto ogni giorno, e vanamente, da anni. A distanza di 15 anni dall’approvazione del D. Lgs.vo 81 e di 29 anni dalla approvazione della 626, che pure aveva fornito i primi significativi strumenti di intervento e controllo da parte delle organizzazioni sindacali attraverso la figura del Rappresentante Lavoratori Sicurezza, e addirittura la possibilità di esercitare un controllo in tutte le imprese sotto i 16 dipendenti , quelle più a rischio, con la figura del R.L.S. Territoriale, la Cgil non è andata molto oltre la denuncia del dramma sociale. Scopo di questo contributo, articolato in quattro puntate, è l’analisi del problema e la ricerca almeno parziale di alcune risposte.
“Non è vero che il ricercatore insegue la verità, è la verità che insegue il ricercatore” scriveva Musil ne L’uomo senza qualità. Pertanto, in questo primo passo, mi sono fatto inseguire e raggiungere dalla verità delle cifre. Per il momento, lascio parlare i numeri nella loro crudezza, cercando possibili chiavi statistiche e interpretative per cercare di saperne di più.
Nel 2022 il Portogallo è il primo paese UE per numero di infortuni non solo mortali in rapporto alla popolazione (2814 ogni 100.000 lavoratori). Seguono Francia (2.597) e Spagna (2.304). Ultime Bulgaria e Romania, che ne riportano meno di cento. Con 1037 infortuni l’Italia si attesta leggermente al di sotto della media UE. Tuttavia Eurostat, attraverso l’elaborazione di Openpolis, evidenzia che in caso di cifre (molto) basse potrebbe esserci un problema di under-reporting, dati e fatti non denunciati. Una dinamica che funziona diversamente nel caso di infortuni mortali, meno facili da nascondere alle autorità competenti.
Infatti, ecco che dal dato relativo a questi ultimi l’Italia balza all’undicesimo posto. Il record lo detiene Cipro (5,1 ogni 100.000 occupati), seguito dalla Bulgaria (4,5), mentre gli ultimi sono Paesi Bassi, Svezia e Germania con cifre inferiori a 1. Nel 2020 ad esempio l’Italia è stata teatro di 3 infortuni mortali ogni 100mila occupati, più della media europea di 2,1. Da queste prime cifre possiamo desumere un primo ragionamento. Se secondo il principio legale del “nemo ad impossibilia tenetur”, in base al quale la totale eliminazione di qualsiasi rischio mortale è impossibile, certamente l’adozione di politiche virtuose potrebbe più che dimezzare il nostro tasso di mortalità. Tenendo presente che nel 2022 gli infortuni mortali sono stati 790, escludendo gli infortuni in itinere, potremmo dire di risparmiare almeno 500 anime, di evitare circa 6 stragi del 2 agosto, alla stazione di Bologna. Chi salva una vita salva l’intera umanità.
Ma torniamo all’under reporting, per cui l’Italia verosimilmente soffre di una decisa sottostima riguardo ai propri infortuni, e quindi di una realtà in buona parte fuori controllo, notiamo che il più alto tasso di infortuni denunciati è la provincia autonoma di Bolzano (5.634 ogni 100.000 lavoratori). A mio parere ciò non dipende da carenze del sistema di prevenzione e tutela altoatesino, ma dal fatto che funziona meglio di tutti. Un singolo infortunio non sfugge. In Alto Adige, ad esempio, la formazione obbligatoria specifica è prescritta al lavoratore prima di iniziare qualsiasi attività lavorativa, in deroga alla legge italiana che la indica come “contestuale”, cioè dopo, o comunque entro sessanta giorni. Quante volte abbiamo udito, o letto, “era al suo primo giorno di lavoro?”. O, addirittura, “la formazione è assente”, come nello scandaloso caso di stagisti e di alternanza scuola-lavoro. Seguono Emilia Romagna (3.978) e Veneto (3.389). Sotto le 2mila denunce ogni 100.000 occupati abbiamo Calabria, Campania, Lazio, Molise e Sicilia. Senza parole.
Un secondo ragionamento è che la stessa contabilità infortunistica appare come il primo anticorpo nei confronti di tale dramma sociale. L’under reporting potrebbe essere causato in primis da un sistema di controllo poco sviluppato, in secondo luogo dal fatto che lo stesso lavoratore non è portato a denunciare l’infortunio. Tralasciando le giuste, ma tutto sommato vane, grida di denuncia nei confronti dell’inefficienza dello Stato, che in parte è volontà politica, e dal cinismo di molti datori di lavoro, la nostra responsabilità e le nostre potenzialità sono grandi. Ogni Camera del Lavoro ha il dovere di prendere il toro per le corna e di chiedere conto alla propria prefettura e ai propri ispettorati di rispetto di leggi e sanzioni, che ci sono e che non sono nemmeno da poco. Se a Palermo c’è un solo ispettore, che vista la situazione si guarda bene dal mettere fuori il naso dall’ufficio, come riportato da un relatore presso l’ultima edizione di Fiera e Ambiente Lavoro a Bologna, questo dovrebbe essere oggetto di una vera e propria azione di pubblica denuncia e di lotta. Il Rappresentante Lavoratori Sicurezza Territoriale deve essere presente in ogni provincia, e fatto effettivamente lavorare come tale.
Riguardo poi al fatto che lo stesso lavoratore non è portato a denunciare l’infortunio, urge una capillare informazione su diritti ed incentivi finanziari. A tale proposito, in ogni ufficio dovrebbe essere presente un ufficio risarcimento danni differenziale, ovvero il danno che deve risarcire il datore di lavoro oltre Inail se l’infortunio avviene per propria responsabilità. Non si tratta certo di monetizzare la sicurezza, ma di comprendere che un adeguato ristoro del danno subito è esso stesso una forma di giustizia, e al tempo stesso funziona come deterrente generale nei confronti dei datori di lavoro. Si ritiene infatti che se un ufficio competente sindacale, assieme all’attività del Patronato Inca, è in grado di indicare alle controparti tecnicamente le proprie mancanze e di quantificare il danno in base alle tabelle del tribunale di Roma o di Milano, senza dubbio ciò contribuirà all’affermarsi di una vera e diffusa cultura in materia di igiene e sicurezza sul lavoro.
Davide Vasconi
Dipartimento Prevenzione e Tutela CGIL Reggio Emila
Rappresentante Lavoratori Sicurezza Territoriale
(1- continua)
Pubblicato il 27 Giugno 2023