L’ ordinaria storia di un muratore saltimbanco
Ho scattato l’immagine che correda il testo in un cantiere alla periferia di Reggio Emilia. L’impresa mi aveva inviato pochi giorni prima il cosiddetto Piano Sicurezza di Cantiere, che io avrei dovuto visionare, apporre eventuali modifiche, e firmare in quanto R. L. S. T.. Sulla carta era del tutto ineccepibile. Anche se il rappresentante alla sicurezza “accede ai luoghi di lavoro”, con tutta la buona volontà non ho il tempo di girare dal crinale appenninico al Po per ispezionare tutti i cantieri. Ma l’impresa non mi era nota, e decisi di recarmi sul posto in incognito.
Ora, l’immagine di quel povero muratore saltimbanco, che con una mano si aggrappa al ponteggio e con l’altra martella una gronda, proteso nel vuoto ed in grave ed immediato pericolo di vita, che non ha perso cinque minuti per indossare l’imbracatura di sicurezza (pur presente in cantiere), vale più di mille dichiarazioni. Persino più di quella del presidente Mattarella, secondo cui “un paese moderno si misura dalla capacità di creare e conservare ambienti di lavoro sicuri”.
Chiediamoci che cosa manca dunque al sistema imprenditoriale e produttivo per essere, in tal senso, moderno. Manca forse una buona legge? Nient’affatto. Il D. Lgs.vo 81/2008 è una legge completa e da difendere, Di più, è un intero Testo Unico, che all’art. 122 affronta anche il rischio per i lavori in quota, che affida un ruolo importante a R. L. S. e lavoratori, e che ha richiesto mesi di lavoro in commissione con l’apporto di uno storico dirigente Cgil come Cesare Damiano.
Mancano le sanzioni? Non direi. Con il decreto lavoro 48/2023, sull’onda mediatica di alcuni infortuni mortali che avevano suscitato particolare impressione, sono state notevolmente inasprite. Il titolare di un bar che in un’ispezione risulta privo del Documento Valutazione Rischi subisce 1) sospensione della licenza e chiusura del locale; 2) € 10.000 di sanzione; 3) procedimento penale; 4) stipendi dei dipendenti sospesi legalmente a suo carico. Più di così potrebbe esserci forse solo la fustigazione in piazza.
Del resto, anche un infortunio mortale comporta gravi conseguenze per il datore di lavoro inadempiente, quale processo per omicidio colposo e risarcimento del danno.
Mancano i controlli? Sì e no. In alcune zone del paese, soprattutto nel Mezzogiorno, sono del tutto assenti. Nel triangolo industriale Milano-Bologna-Padova, la medicina del lavoro e l’ispettorato, recentemente rafforzato da un concorso per ispettori di una certa importanza, il lavoro tutto sommato lo fanno. A ciò si aggiunge anche l’attività di supporto, per nulla secondaria, esercitata da un buona rete di R.L.S. ed R.L.S.T.. Ed anche nella città di Prato, dopo la morte di sette operai che sconvolse la città e la comunità cinese stessa, fu compiuto un lavoro di squadra notevole volto alla prevenzione da parte di magistratura, sindacati, mediatori culturali e associazione di impresa. Eppure, a Prato mancò poi anche Luana D’Orazio, l’operaia schiacciata da un orditoio, a cui erano state tolte le protezioni. Per 7 euro di produttività giornaliera una giovane mamma non c’è più ed ora l’intera azienda finirà nelle mani dei familiari della vittima, che giustamente avanzano richieste di risarcimento per centinaia di migliaia di euro. Davvero un pessimo affare, oltre che un crimine.
Perché è proprio questo il punto. Come io non posso girare tutti i cantieri, così non si può nemmeno pretendere che siano militarizzati; la soluzione non può essere quella di giocare a guardie e ladri. La soluzione è cambiare una volta per tutte una cultura imprenditoriale arcaica, gretta e stupida. Che non considera i costi per la sicurezza un prezioso investimento. Che mette protezioni e imbracature solo perché prevede un controllo, e non perché ha ben chiare le conseguenze della mancata sicurezza. In questo, se non avessero la stessa stantia cultura, le organizzazioni datoriali potrebbero fare decisamente di più. E anche la CGIL potrebbe fare di più.
Le cadute dall’alto rappresentano un terzo degli infortuni mortali sui luoghi di lavoro. Dall’analisi di tali cadute emerge che il settore di attività maggiormente colpito è quello delle costruzioni con oltre il 65% degli eventi accaduti, seguito, a debita distanza, dall’agricoltura con circa l’11. Parliamo dunque nel 2022 di 334 caduti su 1.090, tra l’altro quasi la metà delle vittime, se escludiamo dal conteggio gli infortuni in itinere. E’ un dato che concentra più di ogni altro di tutte le colpe del sistema impresa, se consideriamo che con poca spesa e con poco tempo davvero potrebbero essere ridotte a 0. A zero.
Penso innanzitutto che sia urgente dare attuazione alle modifiche dell’articolo 37, che ha introdotto la formazione obbligatoria del datore di lavoro qualora non ricopra il ruolo di R.S.P..P.. Credo che l’aiuterebbe molto nel maturare una cultura proattiva in materia, nel suo stesso interesse di imprenditore. E’ compito soprattutto suo individuare i rischi e le misure da adottare per eliminarli o ridurli, soprattutto assicurandosi che i lavoratori siano informati e formati adeguatamente, e non con ridicoli pacchetti on line pre-registrati in vendita a 5 euro a Fiera Ambiente e Lavoro.
E’ importante infine che si doti delle figure di supporto a suo sostegno, e che le consideri risorse. Il preposto è fondamentale nel dovere di sorveglianza a carico del datore di lavoro, e credo che nella piattaforma del C.C.N.L. dovrebbe essere oggetto anche di una quota di retribuzione aggiuntiva. Il R.L.S.T. non è un intruso rompiscatole, ma una figura che collabora con il datore di lavoro nell’applicazione delle misure di sicurezza, e che lo aiuta a lavorare meglio. La gestione della sicurezza sul lavoro è certamente un dovere di tutti, ma è senza dubbio il datore di lavoro che ha la responsabilità maggiore, e le relative capacità di spesa, nella promozione di un’autentica e diffusa cultura della sicurezza.
Davide Vasconi
Dipartimento Prevenzione e Tutela CGIL Reggio Emila
Rappresentante Lavoratori Sicurezza Territoriale
(2- continua)
Pubblicato il 12 Luglio 2023