La Lombardia? Il Meridione dell’Europa
C’è tanta politica politicante nella narrazione della cosiddetta “Autonomia differenziata”, che la Regione Lombardia e le altre regioni “ricche” (rispetto a chi e che cosa?) utilizzano per distorcere la grave situazione economica del Paese. Nonostante immaginino sempre di essere “le più belle del reame”.
L’autonomia differenziata
Riflettendo sul database “Sistema Conti Pubblici Territoriali” e combinando la spesa pubblica aggregata con la popolazione e il valore del PIL territoriale, registriamo, invece, che la spesa pubblica pro capite per istruzione, formazione e sanità, per esempio di Calabria e Lombardia, è ben distribuita a livello territoriale, diversamente dal reddito pro capite di mercato. Un esito che riflette le diverse strutture economiche. Questo reddito non è legato alla spesa pubblica, piuttosto alla dimensione storica e polarizzata dell’economia nazionale. Guardando all’economia reale del Nord, non alla spesa pubblica, è facile osservare che sia migliore di quella del Sud, ma la narrazione di un sistema economico forte ed europeo è quanto di più falso si possa immaginare: la Lombardia è arretrata rispetto all’Europa; un arretramento lungo 20 anni che nessuno analizza, preferendo litigare sulle risorse pubbliche disponibili che, alla fine, sono quelle meglio distribuite.
La cosiddetta “Autonomia differenziata” di Calderoli è un’azione che rimuove la politica economica, cioè i problemi legati al reddito da lavoro, agli investimenti privati, alla ricerca e sviluppo e alla povertà prima delle tasse. L’assenza di consapevolezza del ritardo economico costringe tutti i candidati alle elezioni regionali di febbraio 2023 a discutere di tasse e federalismo, piuttosto che dell’impoverimento delle Regioni ricche nel consesso europeo. L’Autonomia differenziata è diventata una novella, ma questa novella elude la politica economia e l’industria. La Lombardia è la strega cattiva che domandava: specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame? Come nella favola, lo specchio ha ragione.
La fotografia della Lombardia
La Regione Lombardia con poco meno di 10 milioni di abitanti e una popolazione potenzialmente in età lavorativa (15-64 anni) di oltre 6 milioni, ripartita equamente tra uomini e donne, è più grande di alcuni Paesi europei come la Danimarca (6 milioni di abitanti) o l’Irlanda (5 milioni di abitanti), ed è poco più piccola della Finlandia (7 milioni di abitanti) e del Belgio (11 milioni di abitanti). La Lombardia, quindi, è un territorio equiparabile a Paesi che concorrono al funzionamento del governo europeo.
La costante e ingiustificata narrazione dell’eccellenza lombarda, lunga ormai 30 e passa anni, ha nascosto come e quanto fosse difficile per l’economia e la società lombarda diventare una economia europea, attrezzata per affrontare le sfide che l’Europa considera fondamentali.
I dati del PIL
L’osservazione della dinamica nel tempo del PIL restituisce l’immagine di una Regione che, progressivamente, perde terreno rispetto ai principali partner europei. Il fenomeno si acuisce a partire dalla crisi dei subprime e dei debiti sovrani, rispettivamente 2009 e 2011, consolidandosi negli anni successivi. La minore crescita del PIL della Lombardia rispetto alla crescita della Germania, tra il 2008 e il 2020, è in media annua pari a meno di 1,5 punti percentuali, e meno 0,5 punti percentuali rispetto alla Francia. Sebbene la Lombardia abbia fatto meglio dell’Italia, questo “meglio” è abbastanza contenuto: 0,5% di PIL. Questa minore e sistematica crescita della Lombardia non è, ovviamente, attribuibile al solo governo della Regione, responsabile di solo una frazione delle risorse finanziarie pubbliche spese che interessano il territorio lombardo. È piuttosto attribuibile alla mancata discussione sulla reale struttura economico-sociale che la caratterizza, portando ad un indebolimento e al rallentamento delle azioni necessarie per correggerne i punti critici.
Quali investimenti?
La letteratura economica assegna agli investimenti un ruolo fondamentale alla crescita economica. Infatti, gli investimenti delle imprese sono direttamente proporzionali alle aspettative di crescita e di profitto delle stesse “imprese”. La dinamica e l’incidenza sul PIL degli investimenti restituiscono due informazioni (economiche) importanti: 1) da un lato, le aspettative (speranze) di crescita del PIL del capitale e degli imprenditori; 2) da un altro lato, la quantità di capitale necessario per il sistema economico e industriale in particolare per rigenerare la propria struttura economica e tecnologica. In generale possiamo affermare che (1) tanto più gli investimenti sono realizzati per soddisfare la domanda emergente, tanto più l’impatto sul PIL sarà positivo; (2) tanto più gli investimenti sono knowledge oriented, tanto più alto sarà il loro valore aggiunto; (3) tanto più il rapporto investimenti-PIL sarà elevato, tanto più la struttura economica è dinamica e capace di creare tanto lavoro quanto se ne perde, con il vantaggio (strutturale) di occupare persone che hanno maggiori qualità formative.
Italia e Lombardia registrano un livello di incertezza (minori investimenti) che merita una riflessione puntuale. Non solo la dinamica degli investimenti è contenuta (le curve per Italia e Lombardia sono quasi piatte), ma il rapporto investimenti-PIL restituisce un fenomeno più complesso. Questo rapporto si riduce notevolmente, passando dal 22% del 2007 al 17,5% del 2019 in Lombardia. Se gli investimenti restituiscono la fiducia delle imprese rispetto al futuro, se il rapporto con il Pil cattura il livello dell’investimento necessario per riprodurre il capitale, allora pare evidente che la struttura economica lombarda (e nazionale) sembra intrappolata in una sorta di tunnel arduo da attraversare. Infatti, lo scarso livello degli investimenti rispetto al PIL è associabile ad un contenuto livello di specializzazione delle imprese ed è correlabile alla debole dinamica degli stessi investimenti. Più semplicemente, il capitale necessario per il buon funzionamento del sistema economico diverge dalla media europea, che nel tempo si è orientato verso settori a maggiore contenuto tecnologico, coerentemente con l’evoluzione quali-quantitativa della domanda.
Produttività e redditi da lavoro
La minore intensità tecnologica degli investimenti e la contenuta, ma coerente, propensione agli investimenti, così come la dinamica del PIL, vincola il valore aggiunto per addetto. Sebbene la dinamica del valore aggiunto della Lombardia (non il valore assoluto) fosse in linea con le maggiori economie europee tra il 2000 e il 2008, a partire dal 2009 si registra un importante rallentamento, maturando un ritardo pari a 10 punti rispetto a Germania e Francia nel 2021. Il risultato è coerente con la dotazione tecnica e tecnologica della struttura economica lombarda, che a loro volta condizionano la domanda di lavoro e la distribuzione del reddito da lavoro dipendente.
La dinamica del valore aggiunto richiama la così detta produttività del lavoro. La domanda a cui sarebbe necessario rispondere potrebbe essere la seguente: data la dotazione tecnica, sarebbe possibile aumentare la produttività del lavoro e, quindi, il reddito da lavoro dipendente?
Uno degli effetti della dinamica del valore aggiunto, sebbene non sia l’unico, è il peso specifico del reddito del lavoro dipendente sul PIL. Il reddito da lavoro dipendente (aggregato) regionale è pari al 40% del PIL nel 2019, contro una media tedesca del 53% e del 51% francese. Questa distribuzione del reddito richiama il ruolo e il peso sociale di lavoro e capitale, nell’accezione data da Tarantelli, e dell’azione pubblica come agente economico preposto alla intermediazione tra capitale e lavoro, così come alla politica economica che dovrebbe guidare le grandi transizioni economiche.
Questa dimensione della politica economica (regionale) è tanto più importante se consideriamo che le misure legate al mercato del lavoro sono, sostanzialmente, attribuite alle Regioni e agli enti locali. La formazione e le altre misure adottate dalla Regione per favorire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, senza una adeguata politica economica e industriale, riproducono l’esistente e non possono governare la trasformazione della struttura economica.
Una retorica da sfatare
Le considerazioni riportate nelle precedenti sezioni portano a sfatare la retorica della Lombardia come “motore trainante d’Italia”. Una narrazione che si è spesso basata su slogan, quasi mai su dati o fatti verificati, e che rimane ancorata ad un passato ormai troppo lontano (storicamente poteva anche avere un senso definire la Lombardia come la locomotiva del Paese). L’immagine che abbiamo delineato tramite le analisi è quella di una regione che nel contesto italiano ha ancora margine per brillare e guidare il Paese (reddito medio pro-capite nettamente più elevato, crescita degli investimenti e della produzione sistematicamente migliore della media nazionale), ma che al suo interno è piuttosto instabile (crescita della produzione e degli investimenti molto contenute e un mercato del lavoro con un peso basso sulla ricchezza generale).
Roberto Romano
Pubblicato il 24 Gennaio 2023