La vittoria di Trump? Chiude il cerchio del “pensiero unico”

Mi sono tenuto lontano da previsioni, endorsement, o peggio ancora da coinvolgimenti sentimentali, di appartenenza ad una competizione elettorale per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti. Distante dall’ansia di immaginare chissà cosa, quale esito avrebbe potuto avere sul futuro dell’Universo intero.

Già è faticoso lasciarsi coinvolgere dalle elezioni nel proprio paese o in Europa, dove abbiamo diritto a votare con la consapevolezza di un voto ormai squalificato e sostanzialmente inutile; figuriamoci quelle di un altro paese…

Francamente riteniamo anche totalmente superato lo schema secondo cui dovremmo guardare con grande attenzione a ciò che accade negli Stati Uniti, per ciò che ne deriverebbe a cascata a casa nostra. Da tempo, ciò che accade negli USA è in realtà già accaduto da altre parti e loro arrivano, non per primi, bensì per ultimi, a mettere il sigillo.

Quando uno come Trump viene eletto Presidente degli Stati Uniti, tutto quello che doveva drammaticamente accadere è già accaduto, cioè la sconfitta della democrazia liberale, che non è avvenuta nelle elezioni, ma prima nella società.

Quelli che solo 35 anni fa, sul finire del ‘900, inneggiavano alla vittoria sul comunismo, coloro che inauguravano il pensiero unico del capitalismo globale, oggi sono gli sconfitti. E con essi è sconfitta la democrazia.

Coloro che si pongono oggi il problema di difendere la democrazia, non so’ se in buona o mala fede, ci depistano in una specie di “guardia al bidone”

Le elezioni sono, man mano, passate dall’essere la celebrazione alta dei sistemi democratici e della partecipazione dei cittadini, alla rappresentazione caricaturale della democrazia. Con partiti personali più che leaderistici, con candidati che somigliano alle figure giganti dei carri allegorici carnevaleschi, piuttosto che il contrario. Infatti vota meno del 50% degli elettori aventi diritto. E chi vota è prigioniero di un circuito mediatico basato su palesi manipolazioni delle informazioni, false notizie, false promesse, sondaggi propagandistici e comitati elettorali che coincidono con comitati d’affari.

Chi vince, spesso non ha neanche la maggioranza dei voti, ma è la minoranza più prepotente, con più strumenti di comunicazione e più spregiudicatezza. Anche quando arriva al 51% contro il 49% dell’avversario, il vincitore registra una divisione a metà con una prevalenza casuale, a fronte di una radicalizzazione dello scontro, con la ferocia di una competizione per mezzo della quale il perdente rinuncia a tutto, fino all’annientamento. Mentre il vincente viene osannato e portato in trionfo, fermo restando che il 90% della situazione rimane stabilmente nello status quo. La condizione materiale del popolo rimane pressoché uguale o cambia in modo impercettibile.

Più è fragile, incerta e precaria, la maggioranza e più la vittoria viene narrata enfaticamente come epica, epocale e totale, tale da rivendicare un potere assoluto.

Questa rivendicazione di assolutismo, di sovranismo e di nazionalismo, in realtà, è speculare ad un fenomeno sempre più concreto di perdita di potere da parte della politica e delle istituzioni pubbliche. Lo stesso conflitto spettacolarizzato e rappresentato enfaticamente e titanicamente fra poteri autonomi dello Stato (governo e magistratura) è una parodia fra poteri ormai fortemente indeboliti ed espropriati, non solo in Italia. Infatti, dopo che l’assalto a Capitol Hill si è concluso con successo, il Giudice ha archiviato il processo.

Sempre più il potere reale viene esercitato da soggetti esterni allo scenario politico istituzionale. E il gioco della politica viene rappresentato in una sorta di circo mediatico, stadio o nuovo Colosseo, mentre il mondo reale fa il suo corso in mano ad un potere oligarchico assolutamente incontendibile.

Il popolo e gli elettori – retorica democratica a parte – sono assolutamente fuori gioco, ridotti a spettatori sugli spalti. E, non essendo in gara, possono solo assistere e votare il più forte (che poi non è neanche tale, bensì rappresenta una controfigura).

Oggi questo fenomeno è più chiaro con l’istrionismo di Elon Musk, ma, a ben vedere, era già molto evidente da tempo con altri soggetti, come Bill Gates, Steve Jobs, Zuckerberg ecc. O anche con entità non umane come Uber o Amazon…

Prima delle riforme istituzionali e anche delle norme, arrivano le intraprese private. I tassisti sono una categoria antipatica, ma hanno bisogno della licenza, mentre Uber invade il mercato senza nessuna autorizzazione o vincolo; lo sharing invade le città con bici, scooter, monopattini, auto, e quando si cerca di regolamentarli, le aziende – oltre alle città – hanno già conquistato le piazze d’affari.

È bello ricevere pacchi e pacchetti sull’uscio di casa, ma chi ha valutato l’impatto di migliaia di fattorini con furgoncini parcheggiati in doppia fila, sulle rotonde, davanti ai passi carrabili, sulla mobilità urbana? Sono degli esempi di uso, se non proprio illegale, “alegale”, delle nuove tecnologie.

Il governo italiano, in difficoltà a fare quadrare il bilancio dello stato, pensa di chiedere un prestito alle banche e ciò rappresenta quasi uno scandalo per alcuni, ed una azione di equità redistributiva per certi altri. Ma chi controlla la cifra spaventosa del debito pubblico mondiale? E quanto può essere influente sui governi? Il pericolo non viene dall’intelligenza artificiale, ma da chi la possiede. Il nemico non è dunque l’algoritmo, ma chi lo programma per rispondere semplicemente all’input del profitto e del controllo proprietario.

Il fatto che una tecnologia così pervasiva sia nelle mani di una ristrettissima elite senza nessun contrappeso e senza nessuna possibilità di mediazione politica, senza nessuna trattativa o dialettica sindacale, senza nessun vincolo sociale… significa che siamo oltre la democrazia liberale, ma anche oltre quella illiberale; forse siamo anche oltre il fascismo finora conosciuto.

Su cosa si discute in queste campagne elettorali, così determinanti per il futuro del nostro pianeta? Su cosa si scontrano questi acerrimi avversari? Sulla guerra e sulla pace? Proprio no. Piuttosto su chi vince e chi perde. Dopodiché, cosa accade in concreto, nel conflitto Russo-Ucraino? Che l’obiettivo non dichiarato è stato raggiunto, e forse adesso si può anche cessare il fuoco, ma l’obiettivo raggiunto è quello di aver rialzato il muro, inibito la ostpolitik della Germania e dell’Europa, ed aver imprigionato l’Europa. E se c’è da dubitare fortemente che questo sia un obiettivo di Trump, sicuramente è un obiettivo della NATO.

E cosa accade, invece, in Medioriente? Forse anche qui si può arrivare ad una tregua, ma si riparte dagli accordi di Abramo e quindi dal controllo militare, civile ed economico israelo-americano sul petrolio arabo e sui nuovi giacimenti di gas sul mare di Gaza, da vendere all’Europa; e si riparte dal sacrificio definitivo del popolo palestinese.

I contendenti in questa campagna elettorale hanno forse affrontato il tema della povertà, delle diseguaglianze? Eppure i rapporti di Osfam parlano chiaro: l’1% della popolazione possiede il 50% del patrimonio. Il 50% della popolazione più ricca possiede il 97% del patrimonio e all’altra metà più povera ne resta soltanto il 3%, quindi non siamo più all’equazione “chi tanto e chi poco”, ma siamo a “chi tutto e chi niente”.

Una frase di Enrico Berlinguer, che circola in rete, come risposta alla domanda di un giornalista in una antica campagna elettorale che chiedeva se i comunisti italiani fossero abbastanza liberali, recitava: “Noi difendiamo tutte le libertà tranne una, quella di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che tutte le altre libertà rende vane”.

Le cosiddette “democrazie liberali” di oggi, tra tutte le libertà riescono a difendere ed a proteggere soltanto quella dello sfruttamento, del libero mercato e del libero consumo, salvo che per consumare ci vogliono soldi che gran parte della popolazione non ha e che quindi è destinata ad una condizione di neoschiavismo.

Ci vorrebbe una rivolta sociale, ma soltanto a pronunciarlo si rischia di essere denunciati.

Pietro Soldini

Pubblicato il 13 Novembre 2024