L’esercito in aula: quando anche la scuola va alla guerra

L’azione che l’area ‘Le Radici del Sindacato’ in FLC sta organizzando contro la militarizzazione dell’istruzione

Gli studenti portati ad una fiera orientamento di Milano in PCTO (alternanza scuola lavoro), dove trovano poliziotti che insegnano a manganellare. Il cortile di una scuola materna di Palermo, dove decine di bambini reagiscono con paura e lacrime agli spari a salve di una simulazione d’arresto dei vigili urbani. Alunni di una scuola primaria, in visita alla caserma De Gennaro di Forlì, coinvolti in un tiro al bersaglio. La bambina della primaria fotografata con una pistola in pugno, mentre un militare gli insegna come tenere l’arma, probabilmente durante una visita in caserma a Trani. Questi sono solo alcuni episodi che hanno raggiunto le cronache della stampa. Non sono situazioni eccezionali o aberranti (caratterizzati da inspiegabile o pericolosa stranezza, anomali, assurdi): sono solo la punta emersa di una presenza dell’esercito e degli apparati di sicurezza nelle scuole di ogni ordine e grado, con un articolata offerta di proposte di reclutamento, occasione di alternanza scuola lavoro e persino gestione di moduli formativi, ben oltre la classica ginnastica dinamica militare. È la nuova normalità di un processo di mobilitazione, riarmo e militarizzazione che segna oggi la nostra società.

Certo, il governo Meloni, Valditara, il Ministero dell’Istruzione del Merito e questa maggioranza stanno accompagnando questo processo. Da una parte sollecitano un clima politico, culturale e sociale nazionalista e reazionario, a cui molti Dirigenti e molti Uffici scolastici si adeguano celermente e senza alcuna titubanza. Cioè, questo clima facilita l’elaborazione di una nuova pedagogia della patria e della guerra in una comunità educante che negli ultimi cinquant’anni si era sviluppata su ben altri indirizzi: il riconoscimento di una pluralità sociale e culturale, il rispetto delle diversità e l’inclusione, come risultato delle lotte del lungo ‘69 operaio, dell’interpretazione della scuola come luogo di conflitto tra diverse domande sociali, quindi occasione di progresso per le classi subalterne e non solo di socializzazione alle norme delle classi dominanti. Dall’altra, la loro gestione istituzionale organizza gli spazi per ricostruire un ruolo retrivo e classista dell’istruzione: la riforma della filiera tecnico-professionale (una struttura formativa duale), l’istituzione della commissione per la revisione delle linee guida relative al primo e al secondo ciclo di istruzione (i cosiddetti programmi ministeriali), l’emanazione di Nuove Linee Guida sull’Educazione Civica, al cui al centro vi è il rafforzamento del senso di appartenenza alla comunità nazionale e l’educazione all’amor patrio, concetto espressamente richiamato dalla Costituzione. In realtà la patria nella Costituzione vi compare solo due volte: nell’art. 59 sulla nomina dei senatori a vita (che la destra vuole eliminare) e nell’art. 52, proprio sul servizio militare. Questa gestione agisce anche, non casualmente, tornando ad imporre una gerarchia e un comando sull’istruzione, degradando prerogative e poteri degli organi collegiali, minacciando l’autonomia di pensiero e di azione dei docenti (come nel caso Raimo).

Questo processo, però, ha radici e prospettive ben più profonde. Non si può dirlo meglio che con le parole del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il generale Carmine Masiello, nel suo discorso lo scorso 4 novembre: L’esercito è fatto per prepararsi alla guerra. Punto. Quindi questo deve essere un messaggio molto chiaro che dovete avere tutti in testa: fino a qualche anno fa, era una parola che non potevamo utilizzare. Oggi la realtà ci ha chiamato a confrontarci con la guerra56 oggi nel mondo. Accendete un telegiornale, aprite un giornale: l’Ucraina e il Medio Oriente sono su tutti i giornali, se ne parla continuamente. Questi conflitti hanno mutato radicalmente il modo di combattere. Se guardiamo l’Ucraina, che prendo come esempio, vi è un mix di guerra antica – le trincee che avevamo completamente dimenticato, i campi minati, i rotoli di filo spinato, il fango – e poi c’è il futuro, la guerra cibernetica, la guerra spaziale: ci sono i droni e tutte le loro varianti, c’è la disinformazione, la guerra delle menti. La mente nostra, dei militari e dei civili, è diventata ormai parte del campo di battagliaper questo motivo, sto valutando il ritornare a chiamare il corso di Stato Maggiore con il nome che aveva una volta: scuola di guerra. Perché è quello alla quale ci preparavamo. La guerra in Ucraina ha, cioè, segnato uno spartiacque: in una stagione segnata dalla Grande Crisi aperta nel 2006/08 e dalla crescente competizione tra i principali poli capitalisti (USA, UE, Cina), è entrato nell’orizzonte degli eventi un conflitto globale. La guerra mondiale non è solo uno dei possibili sviluppi, ma la sua stessa eventualità tende a indirizzare i processi economici, sociali e militari, spingendo in quella direzione. Le nostre società si stanno preparando alla guerra e si stanno preparando sin dalla scuola.

A questo destino, però, si può dire no. Si deve dire no. E a farlo deve esser proprio il sindacato, proprio la CGIL. Dobbiamo oggi riscoprire e riattualizzare quella radice antimilitarista che è presente nel nostro sindacato sin dalle mobilitazioni e dagli scioperi contro l’intervento in Libia, contro l’interventismo nella Prima guerra mondiale. Per questo come area in FLC abbiamo deciso di aderire all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università [un discorso a parte, tutto da approfondire, è quello sulla ricerca e il suo rapporto con le grandi imprese di guerra, come Leonardo: ci torneremo!]. Per questo in questi mesi abbiamo sollecitato la FLC nazionale e le sue strutture territoriali ad organizzare specifici momenti di confronto, formazione e intervento, a partire dalla presentazione del libro di Antonio Mazzeo, La scuola va alla guerra (abbiamo contribuito a organizzare occasioni simili a Enna lo scorso settembre, a Torino ed Aosta il prossimo dicembre, in altre città e regioni nei prossimi mesi). Perché si può e si deve agire nelle scuole contro questa deriva, a partire dalla rivendicazione degli spazi collegiali della programmazione che escludano iniziative simili (delibere di collegio docenti ed inserimento nel PTOF). Perché su questo non è in gioco una semplice aberrazione degli spazi didattici, come potrebbe apparire dagli episodi citati nell’incipit, ma una distorsione del ruolo e della funzione della scuola, nel quadro di una società mobilitata verso gli orizzonti di gloria di un conflitto globale. Noi diciamo no. Proviamo a dirlo in tanti, in modo organizzato.

Luca Scacchi

Pubblicato il 26 Novembre 2024