Lettera aperta a Paolo Virzi
L’invito di Paolo Francini, ex operaio delle acciaierie di Piombino e rivolto al regista, a raccogliere una nuova sfida: “Raccontare cosa è successo a Piombino in questi anni, immaginando che i lavoratori possano vivere non la ‘bella vita’, ma una vita dignitosa…”
Caro Virzi, sono un ex operaio delle acciaierie di Piombino, in pensione da poco. Sono entrato nello stabilimento nel 1980 e ho trascorso gli ultimi 8 anni della mia vita lavorativa in CIG.
Non amo interessarmi di ciò che fanno gli uomini di spettacolo e i cosiddetti ‘vip’. Vivono in un mondo ben diverso dal mio e da quello dei comuni mortali. Ma questa volta, in occasione della proiezione del tuo film, “La bella vita”, non so trattenermi. Quando al cinema ho visto per la prima volta il tuo film (era appeno uscito) avevo ancora addosso tutte le emozioni e le delusioni angoscianti dei quasi quaranta giorni di sciopero fatto con gli altri operai per difendere lo stabilimento dalla privatizzazione selvaggia avvenuta con Lucchini. Sono uscito da quella visione con le lacrime agli occhi e l’animo sconvolto.
Nel tuo film molti hanno visto la previsione della fine di un’epoca per Piombino e dintorni, era finita l’industria doveva arrivare il turismo. Io ci ho visto soprattutto altro: era finito il tempo delle lotte collettive per la difesa dei diritti dei più deboli, compreso gli operai. Quando all’età di 20 anni sono arrivato alle acciaierie i più vecchi mi insegnavano che un problema mio era un problema di tutti e un problema degli altri era anche un problema mio: o ci salviamo tutti o non si salva nessuno e solo con lotte comuni possiamo conquistare una vita dignitosa.
Lotte collettive che, a Piombino ed in tutta Italia, avevano permesso al figlio di un operaio o di un contadino (come me) di poter studiare, curarsi, avere una casa, un lavoro dignitoso, una pensione decente. Purtroppo, nessuno ha raccontato cosa è successo dopo la privatizzazione dello stabilimento: ogni due/tre mesi moriva un operaio, ritmi di lavoro forsennati, manutenzioni inesistenti, impianti divenuti dei ferro vecchi solo da rottamare.
Dall’altra parte, invece, profitti da capogiro per le multinazionali che sono arrivate a banchettare sul corpo di Piombino e dei suoi lavoratori. Quasi tutti hanno considerato normale e giusto il mondo che è arrivato dopo, a Piombino e oltre: poveri anche se si lavora, quasi tutti precari e ricattabili, la vita dei lavoratori sacrificata al dio profitto (più di 1000 morti l’anno). Quindi i lavoratori schiavi moderni, ma pur sempre schiavi. Del resto, oggi nelle Istituzioni più alte (Parlamento, Regioni) non siede più nemmeno un operaio, un lavoratore così detto manuale. E oggi gli operai votano (quelli che vanno a votare) in buona parte per quella destra che vede i nemici nei più disperati e che difende gli interessi dei più ricchi. Mentre la “sinistra” di governo ha martirizzato i lavoratori con la fine dello Statuto dei Lavoratori e dando un bel contributo per lo smantellamento della sanità e della scuola pubblica e delle pensioni.
Chi ha governato a livello nazionale e locale ha consegnato anche Piombino alle multinazionali che hanno fatto fin troppo bene i loro interessi. Con il risultato però che, solo negli ultimi anni, alle acciaierie abbiamo perso più di 2000 posti di lavoro: centinaia e centinaia di lavoratori in cassa integrazione permanente da più di dieci anni, lo stabilimento con un solo impianto che marcia (ma solo per alcuni periodi), gli altri in fase di smantellamento. I sindacati ridotti, meno rare eccezioni, a “collaboratori” delle multinazionali (così sta scritto negli accordi tra azienda e sindacati). E i lavoratori divisi, e in buona parte, divenuti cinici opportunisti e totalmente rassegnati. I cassaintegrati detestati da quasi tutta la città perché visti come parassiti della comunità.
Non c’è mai limite al peggio: solo pochi giorni fa è stato certificato che, ad oggi, altri 810 lavoratori delle ex acciaierie si stanno avviando verso i licenziamenti. Si è aperta così la lotta per rimanere tra gli altri 500 che, forse, avranno qualche opportunità di salvarsi. Ma quali lotte collettive? Quale “chi tocca uno, tocca tutti”? Siamo al ‘si salvi chi può’, ovvero una vera lotta tra poveri.
Senza mirare ad effetti speciali per indurre a pietà non ti nascondo che alcune volte, in questi anni, ho riflettuto su quell’operaio del tuo film che, posto in CIG, passava il tempo a lucidare il fucile, fino a che un giorno lo utilizzo contro se stesso per farla finita. Giungere a tanto anche come ultima forma di protesta, anche se vana. Poi, per vigliaccheria o per puro spirito di conservazione, ho cancellato quella scena dalla mia mente. E ho provato a lottare, soprattutto con l’associazione Camping CIG (un piccolo gruppo di cassaintegrati) per svelare le verità nascoste dietro le innumerevoli narrazioni felici che sopraggiungevano all’arrivo di ogni nuova multinazionale (è arrivato il Messia, Piombino risorgerà più bello e più stupendo che pria). Lottare anche proiettando, come abbiamo fatto proprio in una iniziativa, il tuo film, poco dopo lo spegnimento dell’altoforno. Lo facemmo per invitare l’intera comunità a riflettere sulla fabbrica in un momento in cui i legami tra fabbrica e città si stavano già rompendo e per dire ai lavoratori che occorreva tornare lottare, tutti insieme, contro le multinazionali e quella politica che è al loro servizio per riprendersi in mano il nostro destino.
Adesso che torni sul luogo del “delitto”, ti invito a raccogliere una nuova sfida: raccontare, seppure in forma di commedia, cosa è successo a Piombino in questi anni, e magari, almeno nel film immaginare i lavoratori che possano vivere non la bella vita, ma una vita dignitosa.
Paolo Francini
Pubblicato il 18 Febbraio 2025