Lo sciopero? Per il governo è folcloristico
Quando il Segretario generale CGIL Landini afferma che “ci vogliono togliere il diritto di sciopero”, che “siamo in piazza per difendere i nostri diritti, sbaglia a mio avviso la consecutio temporum: perché molti diritti li abbiamo già persi, attraverso un percorso di indebolimento, svuotamento e snaturamento.
Partiamo dalle polemiche attorno agli scioperi: dalla legge 146 sulla regolamentazione dello sciopero, che è del 1990, si arriva ai protocolli definiti nei CCNL e negli accordi interconfederali fra le parti, che andavano a definire infatti le norme di “autoregolamentazione” del conflitto sindacale.
Ma, soprattutto, quella legge si inseriva in un contesto consolidato di dialogo sociale e di vera e propria concertazione, cui si opponeva una sinistra sindacale, minoritaria, che criticava aspramente quella scelta di “concertazione” e privilegiava piuttosto il conflitto. E l’effetto di quella strategia concertativa faceva sì che sulla manovra di bilancio iniziasse, fin dall’estate, un tavolo di confronto fra governo e sindacati volto a “concertare” la manovra.
In diverse occasioni si giungeva ad un vero e proprio accordo fra governo e parti sociali (in altri casi l’accordo non si raggiungeva, arrivando così al preannuncio di un autunno più o meno caldo) che si tramutava nella proposta sostanziale che il Governo presentava al Parlamento in autunno inoltrato (scontando la sua insoddisfazione, visto che le Aule si vedevano arrivare una proposta confezionata sulla quale c’era scarso margine d’intervento), arrivando al punto che il confronto preliminare con le parti sociali veniva espletato in parallelo all’attività delle stesse Commissioni parlamentari.
Oggi, invece, il governo non si confronta con nessuno e, secondo la concezione autoritaria della Meloni, il sindacato non può protestare prima che lei “pensi” la manovra, ma dopo che lei l’avrà pensata. Quindi il sindacato dovrebbe protestare quando la manovra è già blindata e quindi indiscutibile, non soltanto per il sindacato medesima, ma anche per il Parlamento. Secondo la premier, il diritto di sciopero consisterebbe quindi in una protesta testimoniale più o meno folcloristica, che arriverebbe dopo che il governo ha deciso; una protesta di nessuna efficacia, che lascia ovviamente il tempo che trova. Lo sciopero, al contrario, serve per influenzare le decisioni del governo; ed è per questo che è stato annunciato sin dall’estate. La deliberata ignoranza del valore dello sciopero nasconde il disprezzo per la dialettica sindacale, democratica e costituzionale, ed evidenza le inclinazioni autoritarie del governo.
Salvini decide la precettazione con lo stesso atteggiamento antisindacale del padrone che decide la “serrata”, benché affermi di farlo per dovere e responsabilità nei confronti dei cittadini pendolari e del loro diritto alla mobilità (affermazione offensiva e provocatoria, se guardiamo ai disagi strutturali ed ai disservizi cronici che i cittadini pendolari subiscono tutti i giorni per andare a lavorare, dovendo aggiungere, alle ore lavorative, quasi il 50% in più del tempo di lavoro, per andare e tornare a casa: tempo bruciato di vita di milioni di persone).
La palese strumentalizzazione politica di un ruolo istituzionale da parte di Salvini è sfacciata; lui, spolverando la sua dose di candore da fotocamera, dice di aver agito sulla base di una delibera della Commissione di Garanzia che è l’autorità preposta indipendente. Sembrerebbe un argomento ineccepibile, ma non è così. La legge che istituisce la Commissione di Garanzia, sempre del 1990, stabilisce che le nomine di esperti del diritto del lavoro terzi devono essere effettuate con decreto del Presidente della Repubblica su proposta dei Presidenti di Camera e Senato. Nel 1990 si trattava di Nilde Iotti e Giovanni Spadolini, ossia – in una prassi istituzionale consolidata – di due personalità provenienti uno dalla maggioranza di governo e l’altro dall’opposizione. Quindi due figure di garanzia dell’arco costituzionale, che avrebbero ben scelto figure di Garanzia nella commissione di regolamentazione del diritto allo sciopero. Oggi, purtroppo, non è così: perché quelle nomine garantiscono soltanto il governo.
Per chi volesse ascoltare ed interpretare nel modo corretto il segnale che arriva dal recentissimo sciopero e dalla piazza sindacale, il rispetto per le istanze dei lavoratori dovrebbe essere, per il governo, un atto dovuto. Proprio per poter avviare un tentativo di mediazione sulle proposte per migliorare la manovra economica. Mentre, al contrario, è stata montata ad arte la farsa sui dati di adesione alla protesta, partendo da quei settori dove di norma non si può quasi scioperare, o dove il personale che può scioperare è già contingentato (ad esempio la sanità, settore nel quale le norme non consentono di scioperare al personale adibito a servizi di pronto intervento e d’emergenza), o deve dichiarare per iscritto che avrà intenzione di aderire allo sciopero. Quindi i dati sui quali il governo alimenta la polemica sono falsi e fuorvianti, facendo emergere addirittura un paradosso: ma come, prima vengono definite delle modalità ‘responsabili’, che esonerano i servizi essenziali e limitano l’esercizio dello sciopero in certi settori, e poi viene monitorata l’adesione allo sciopero di quei settori per poter sostenere che lo sciopero è fallito?
Suvvia, questa non è informazione, bensì una totale forma di irresponsabilità politica, contro la quale il mondo del lavoro e le organizzazioni sindacali rischiano di trovarsi completamente disarmati. Perché ridotti all’assenza di conflitto e financo all’impossibilità di concertare. Ed essendo che la concertazione non verrà restituita, è ora di riprenderci il conflitto.
Pietro Soldini
Pubblicato il 28 Novembre 2023