“Non arrendiamoci alla barbarie”
La sintesi della relazione di Eliana Como, che ha aperto l’assemblea nazionale de ‘Le Radici del sindacato’, svoltasi a Livorno il 28 e il 29 giugno: “Dopo due anni non sono cambiate le nostre ragioni, la volontà di affermare un punto di vista e una pratica sindacale radicale e di classe”
“Non è un caso se ci ritroviamo a fare questa assemblea nazionale qui, oggi, a Livorno, dove, due anni fa, siamo partiti, nella bellissima cornice del teatro Goldoni. Dopo due anni, sono cambiate molte cose, ma non, secondo me, le nostre ragioni, cioè il ripartire dalle nostre radici e affermare un punto di vista e una pratica sindacale radicale e di classe dentro la Cgil.
Ucraina, Palestina: il mondo è in fiamme
In realtà, abbiamo anche più ragioni di quelle che avevamo due anni fa. Perché il mondo ha continuato a produrre disastri: l’escalation della guerra in Ucraina pericolosamente sempre più vicina al rischio di una guerra nucleare, il genocidio del popolo Palestinese, l’avanzata della destra radicale in tutta Europa, l’avvento in Italia di un governo autoritario e nostalgico, che semina odio come non ci fosse un domani, mentre sdogana la peggiore cultura politica del nostro paese. In soli due anni: la strage di Cutro, con i migranti definiti ‘carico residuale’ dal ministro dell’interno, i centri di permanenza in Albania; la presidente del consiglio che parla della lotta all’evasione fiscale come pizzo di Stato; il presidente del Senato che racconta la favola dei suonatori di ottone di via Rasella, il deputato che spara a capodanno, i giovani di FDI che inneggiano il Duce; il ministro dell’agricoltura che ferma i treni per scendere a suo piacimento, tra un’allucinazione e l’altra sulla ‘sostituzione etnica’. E ancora. Gli studenti e le studentesse manganellati e criminalizzati mentre, giustamente, manifestano contro la militarizzazione della ricerca universitaria e il genocidio a Gaza; i pro-vita accompagnati dentro i consultori per colpevolizzare le donne che scelgono di abortire; il generale Vannacci con tutti i suoi deliri omofobi e razzisti; Salvini che precetta gli scioperi mentre, nel frattempo, cinque operai di Ansaldo a Genova vengono condannati a un anno di carcere per una manifestazione a difesa del loro posto di lavoro. E via dritti come un treno sul Ponte sullo Stretto, sul bonus 120% alle imprese (a pioggia, anche quelle che hanno fatto super utili), i condoni agli evasori, la flat tax per i liberi professionisti, il concordato preventivo che istituzionalizza l’evasione fiscale (decidi tu, libero professionista, su quanto pagherai le tasse). Per non dire dell’autonomia differenziata (AD) o della “riforma” sul premierato, due facce in realtà della stessa medaglia: dividere il paese, da un lato, lacerare il presupposto di solidarietà e l’idea di stato sociale come bene comune universale, dall’altro; accentrando i poteri dell’esecutivo nelle mani di un solo potere, peraltro sempre più diffidente e ostile nei confronti della magistratura e della stampa.
La narrazione del governo? Distante dalla realtà
E, in tutto questo, una narrazione del paese, sempre più distante dalla realtà, dalle promesse elettorali e soprattutto dalla condizione materiale delle persone: peggiorata la legge Fornero, cancellato il reddito di cittadinanza, 6 milioni di persone in condizione di povertà assoluta (di cui, ancora più grave, 1.3 milioni minorenni), 4 milioni di lavoratori e lavoratrici poveri anche se lavorano. Intere filiere produttive, essenziali per il paese, senza prospettive di sicurezza per i lavoratori e le lavoratrici, a partire da automotive e acciaio (Ilva, Piombino, Stellantis). Ma anche Ita data in pasto a Lufthansa e la rete Tim svenduta agli americani. E poi il turismo nelle mani della lobby dei balneari e l’agricoltura in mano ai caporali, con condizioni di lavoro e di vita di semi-schiavitù e iper sfruttamento. Lavoratori lasciati a morire lungo la strada, come Satnam Singht, morto di capolarato e di razzismo.
E oggi non c’è opposizione politica, sindacale o anche movimento dal basso in grado di fare da argine.
Dalla politica è difficile aspettarselo. Il PD è lo stesso che ha tagliato pensioni, stato sociale e diritti in questi anni, che ha approvato le privatizzazioni e la maggior parte delle leggi sulla precarietà. È quello che fino a ieri ha sostenuto l’AD del modello Emilia Romagna e che ha approvato, nel 2017, i decreti Minniti e taceva, tra le altre cose, quando le manganellate agli studenti arrivavano sotto il governo Draghi, con gli studenti in piazza per i loro compagni morti ammazzati durante i progetti di ‘alternanza scuola lavoro’.
Qual è oggi il ruolo della Cgil?
È la Cgil che dovrebbe essere il peggior incubo di questo governo. La stampa di destra ci dipinge come se lo fossimo. Ma è vero? Che cosa ha messo in campo, concretamente, la Cgil in questi due anni? Le manifestazioni, al sabato, nella primavera del 2023, con Cisl e Uil. Poi, tra novembre e dicembre di quell’anno, lo sciopero inspiegabilmente frammentato per categorie e territori, senza alcun seguito nei mesi successivi, al punto che non se ne parla nemmeno più. Il moltiplicarsi delle manifestazioni di sabato questa primavera: tanti appuntamenti, ma bisognerebbe domandarsi, alla fine, quale segno abbiano lasciato. Lo sciopero dell’11 aprile, decisivo, sulla sicurezza, ma incredibilmente solo del settore privato, di 4 ore e, anche quello, senza continuità, nonostante il ripetersi di episodi gravissimi. Poi la campagna referendaria.
Il referendum avrebbe senso sull’onda di una grande mobilitazione. Così rischia di essere a freddo. Non è, il mio, un pregiudizio in sé sullo strumento del referendum, né sui quesiti. Il punto è l’assenza di una mobilitazione che dia il senso e trascini anche la campagna referendaria, che altrimenti rischia di essere l’alibi per abbandonare la continuità di lotta promessa, come ogni anno, dopo gli scioperi di dicembre.
In autunno partirà una nuova campagna di raccolta firme su tre leggi di iniziativa popolare. Nel frattempo, in estate, quella per il referendum sulla AD. L’approvazione del DDL Calderoli può anche segnare un cambio di fase nella costruzione di una possibile opposizione sociale. Se si andasse a votare in primavera sulla AD potrebbe diventare un terreno di costruzione dell’opposizione a Meloni, come fu il referendum Costituzionale per Renzi nel 2016. Il punto però è sempre lo stesso: senza costruire le basi di una concreta opposizione nei posti di lavoro, si rischia di continuare a buttare la palla in tribuna, impegnando l’organizzazione per mesi nella raccolta firme, rimandando lo scontro nel tempo e circoscrivendolo alle urne, in cui le ragioni del lavoro sono deboli o assenti proprio per l’assenza di mobilitazioni e movimenti sociali di massa. I compagni di GKN hanno fin qui sempre vinto in tribunale, perché avevano ragione certamente, ma anche perché sostenuto le loro ragioni sul terreno di una mobilitazione radicale e diffusa.
È questo che vogliamo faccia la Cgil.
L’Autonomia differenziata che spaccherà il paese
Noi siamo stati in campo da subito contro ogni autonomia differenziata, non c’è una autonomia buona e una cattiva, il paese è già oggi troppo diviso e lo stato sociale impoverito al sud e privatizzato al nord. È dalla sua costituzione che siamo nel Comitato contro ogni Autonomia differenziata, con un ruolo e una visibilità importanti. Soprattutto con coerenza, anche quando il PD e pezzi importanti della Cgil sostenevano il modello di AD della Emilia Romagna.
Va costruita una mobilitazione reale contro la AD, ben oltre il referendum, al sud ma soprattutto al nord, dove sarà più difficile far capire che chi si arricchisce con l’AD non è l’operaio lombardo (già oggi a Bergamo e a Brescia persino il pronto soccorso è privatizzato). Chi si arricchirà con l’AD sono i grandi potentati della sanità privata e quella classe politica il cui modello di gestione della cosa pubblica è finalmente saltato in aria a Genova. Una classe dirigente regionale impastata in scambi di voti e di favori con le grandi imprese e persino con la mafia. Una classe politica che concepisce la politica non come gestione del bene pubblico ma dell’interesse privato e del profitto. Non accade solo a Genova, è un modello: lo stesso che sta dietro a tutto il sistema delle privatizzazioni.
C’è poi tutta la partita dei CCNL.
Anche su questo, la Cgil rischia di segnare il passo e procedere a caso, senza un modello contrattuale e abbandonando nei fatti anche il tema del salario minimo. Non soltanto perché si continuano a firmare ccnl sotto la soglia minima dei 9 euro (l’anno scorso il caso del ccnl della vigilanza privata è stato emblematico). Ma proprio perché non se ne parla più e sul terreno contrattuale si procede ‘random’, con il sostanziale fallimento di quell’obiettivo di coordinamento che si erano postano l’AG Cgil e l’assemblea nazionale dei delegati/e a Bologna lo scorso settembre.
I tavoli per i rinnovi dei contratti nazionali
C’è il tavolo appena aperto dei metalmeccanici, con i padroni che piangono miseria e rivendicano il rispetto del Patto per la Fabbrica.
Ci sono i servizi, su un terreno evidentemente difficilissimo di mobilitazione: settori devastati dalla precarietà e dalla frammentazione della forza lavoro e persino delle controparti datoriali, con decine di contratti pirati o scaduti da anni. In questi ultimi mesi, sono stati rinnovati ccnl scaduti da prima del covid: il commercio, poi la Grande Distribuzione Organizzata, ora una parte del turismo. E’ un fatto importante se un ccnl viene rinnovato dopo anni, soprattutto se le imprese non sfondano sulle loro contro richieste (cancellazione degli scatti di anzianità e parte della 14). Ma resta il fatto che la dinamica salariale del settore, con un aumento di 240 euro al 2027 (200 nel caso del turismo), a 4 anni dalla scadenza, anni in cui l’inflazione è stata a due cifre, non è nemmeno lontanamente sufficiente a invertire la dinamica di compressione salariale. Non è facile, capisco le difficoltà del settore, ma proprio per questo penso che la Cgil dovrebbe aprire una discussione e una mobilitazione complessiva sul modello contrattuale e sul salario minimo, per non lasciare a se stesse categorie che hanno più difficoltà a contrattare e mobilitare rapporti di forza. C’è una difficoltà di fondo e va affrontata insieme, ripensando il modello contrattuale, fuori da logiche corporative delle categorie più forti e soprattutto avviando una complessiva campagna di rivendicazione e conflitto.
A partire dalla contrattazione nel settore pubblico, che in questi anni, più ancora di tutti gli altri settori, ha subìto la dinamica inflattiva e la compressione salariale, con un sistema di rinnovi a scadenza, strutturalmente in ritardo. Le risorse di cui si discute oggi per i rinnovi del 22/23/24, oltre che in ritardo, coprono a stento l’inflazione dell’ultimo anno. Oltre ai rischi che l’AD porterà rispetto alle differenze salariali regionali e a tutta la discussione che è in campo sulla premialità e il merito, che rischia di demolire alla base il sistema di contrattazione collettiva universale e solidaristica dell’intero settore pubblico.
La più grande emergenza si chiama “insicurezza”
Quella della sicurezza sul lavoro è però, a monte, la vera grande emergenza del mondo del lavoro. Anche per questo siamo qui oggi, a 15 anni esatti dalla strage di Viareggio.
Da gennaio 2024 sono 500 persone uccise sul posto di lavoro perché la sicurezza è un costo.
Quattro stragi in meno di 10 mesi (quasi cinque con l’esplosione di scorsa settimana dell’acciaieria a Bolzano), in posti di lavoro che non sono l’azienda artigiana del sottoscala ma Ferrovie dello Stato, Enel, Esselunga, una partecipata del comune di Palermo. Con un unico comune denominatore, il vero cancro del mercato del lavoro di questi anni: la catena degli appalti e dei subappalti e quella dannata sottocultura imprenditoriale del ricatto che sta alla base della legge ‘Bossi-Fini’ e di ogni legge sulla precarietà. Quella cultura che a Brandizzo suonava “se dico treno, spostati!”. A Firenze “se non ti sta bene vattene”. A Carrara “se si fanno male sul lavoro è perché sono deficienti”. Fino a Latina, con il padrone che dice che Satnam è morto per una sua leggerezza: parole impronunciabili in un paese normale.
Il Governo fa finta di niente, continua a disinvestire sui controlli, non assume personale ispettivo e se la cava con la patente per le imprese, dove la vita di chi lavora vale 20 punti. La Cgil deve dare continuità allo sciopero dell’11 aprile: il 6 luglio la manifestazione a Latina, ma serve una mobilitazione permanente, altrimenti rischia di essere testimonianza.
Più controlli e più ispettori il Governo deve metterli in campo ora. La responsabilità dell’impresa appaltante su tutta la filiera serve ora, non tra un anno, se mai arriveremo al quorum del referendum. Sull’agricoltura bisogna intervenire subito: le nostre campagne sono in mano a lavoro nero, caporali e padroni senza alcun scrupolo né controllo. Decisivo è anche mobilitare i posti di lavoro per rivendicare il reato di omicidio sul lavoro. Il tempo della indignazione deve finire.
‘Le Radici del Sindacato’ e il pluralismo il Cgil
Io non ho mai pensato di cambiare i vertici e la burocrazia questa organizzazione, sempre più avviluppata su se stessa, sulle dinamiche tra gruppi dirigenti. A livello nazionale, l’AG è diventata il simulacro di quello che era, non si riunisce più. Si decide tutto nelle riunioni dei segretari generali, nella totale mancanza di rispetto del pluralismo. Ma noi siamo un’altra cosa dai gruppi dirigenti e dalla burocrazia di questa organizzazione. Discutiamo dei nostri i limiti, quelli della fase, oggettivi, ma anche i nostri, soggettivi: parliamone, serenamente ma seriamente, sia nei territori, nelle categorie, anche a livello nazionale. Ma credo che a monte, dobbiamo dirci, a due anni da quando siamo nati, se ha senso quello che siamo, se il nostro ruolo e le nostre ragioni sono ancora valide. La risposta è sì, ma non solo: io credo che dobbiamo esserne orgogliosi.
Servono eccome un punto di vista e una pratica alternativa in Cgil, in grado di intervenire sul terreno della proposta e delle iniziative, nel rapporto con i movimenti, nelle lotte, a partire da quella straordinaria dei compagni di GKN, che oggi più che mai è decisivo sostenere e appoggiare, ora che è iniziato l’iter per la legge di iniziativa regionale per il consorzio pubblico.
Rilanciamo con convinzione da qui il nostro ruolo. A partire dalla contrattazione, dal salario minimo, dalla mobilitazione permanente sulla sicurezza, per il reato di omicidio sul lavoro. Proviamo a fare la differenza dove ci siamo, nei territori e nei posti di lavoro in cui siamo più forti. Soprattutto nel rapporto importante che abbiamo nei movimenti, con FFF, NUDM, il mondo LGBT+ e quello antifascista.
A questo serviamo.
Non a contare nelle burocrazie o star dietro ai giochi di poltrona e ai destini personali di qualcuno, che poco o niente hanno a che fare con il merito. E non serviamo nemmeno a dire sempre di no, per partito preso. La nostra forza è il merito, dire le cose come stanno, prendere posizione, pretendere coerenza, fare la differenza.
Viviamo in un paese che sta sprofondando nella barbarie. Non arrendiamoci, perché la nostra radicalità, la nostra coerenza, la nostra militanza, le nostre radici servono ancora”.
Pubblicato il 8 Luglio 2024