Non c’è pace tra gli ulivi
L’operazione terroristica di Hamas nei confronti di venti insediamenti israeliani ha suscitato un vasto sdegno. L’ONU considera l’uccisione di civili un atto terroristico ed un crimine contro l’umanità, ma rivolge la stessa accusa ad Israele per la sua rappresaglia massiccia che ha causato finora quasi 4.200 morti, per un terzo bambini, cosa che va ben al di là del proclamato “diritto di difendersi” e anche di “occhio per occhio”, e che, come ha dichiarato anche l’ONU, non giustifica comunque la distruzione della città e il genocidio dei civili palestinesi, chiusi in un ambiente urbano enormemente sovrappopolato, definito una “prigione a cielo aperto” e una “trappola per topi”, di persone che non possono fuggire altrove ed alle quali è stata imposta una migrazione interna verso sud, su percorsi di sfollamento che sono stati bombardati.
Il blocco delle forniture controllate dagli israeliani, di acqua, elettricità e gas, di generi alimentari e medicinali, e la distruzione degli ospedali, oltre che ridurre alla fame la popolazione, significa, come ha denunciato che l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una vera e propria strage programmata dei ricoverati, di malati e feriti, oltretutto costretti a spostarsi nella zona sud della Striscia priva di strutture di accoglienza, e perfino per neonati prematuri in incubazione. Gli aiuti sono pressoché bloccati da Israele, nonostante l’ONU dica chele scorte sono finite e che se non arrivano subito i rifornimenti sarà un genocidio. Data l’urbanizzazione della striscia è impossibile bombardare o invadere senza fare una strage di civili, ma Netanyahu ha detto che finora è solo l’inizio e ha programmato un’invasione in tre fasi, per ridimensionare Gaza e la sua popolazione annettendo la parte nord della Striscia.
Churchill diceva che “la prima vittima d’una guerra è la verità”, ed è scoppiata anche la guerra mediatica dell’informazione, o piuttosto della disinformazione, che mina l’affidabilità delle notizie che ci pervengono. Senza sminuire la gravità dell’attacco di Hamas, giornalisti francesi e inglesi, giunti immediatamente sul posto hanno asserito che non v’era alcuna traccia della decapitazione di bambini diffusa dall’esercito israeliano per allargare il consenso mondiale alla sua repressione, e, rispetto alla distruzione dell’ospedale battista al-Ahli di Gaza, che ha causato oltre 500 morti, in prevalenza donne e bambini, gli israeliani sostengono, assieme agli Stati Uniti (dato che moltissimi cittadini israeliani hanno il doppio passaporto statunitense e che il voto degli ebrei è decisivo per l’esito delle imminenti elezioni presidenziali), che si tratta di un errore di Hamas, ma va osservato che l’ospedale era già stato bombardato alcuni giorni prima da Israele con numerosi morti ma, subito dopo la sua distruzione, Open aveva pubblicato la notizia diffusa da Hananya, portavoce di Netanyahu, poi cancellata, in cui rivendicava l’operazione: “L’aeronautica militare israeliana ha distrutto una base terroristica dentro l’ospedale di Gaza. Numerosi terroristi sono morti ed è straziante che Hamas stia lanciando razzi da ospedali, moschee scuole, usando civili come scudi umani”. È stato colpito anche un ufficio dell’ONU, da sempre sgradito agli israeliani, con la morte di 17 funzionari ed anche una chiesa ortodossa con una ulteriore carneficina. È iniziato il bombardamento del Libano.
La versione ufficiale secondo la quale l’attacco di Hamas ha “colto di sorpresa” Israele è assai poco credibile perché s’è trattato d’una operazione preparata da tempo, con la produzione artigianale in loco di migliaia di missili, che non può essere certo sfuggita ad un esercito che dispone di mezzi tecnologici straordinari che controllano ogni centimetro di territorio, vedendo anche oltre i muri all’interno degli edifici, ed effettua uccisioni di precisione dei capi avversari; non è possibile che nessuno si sia accorto dello sfondamento con bulldozer del muro di 65 chilometri, alto 6 metri, che circonda Gaza ed è presidiato, con torrette ogni pochi metri, dalle forze speciali israeliane, tra le migliori del mondo, con sensori, telecamere, radar e sistemi d’arma automatici, e vi sia stato un enorme ritardo nella reazione. No, la spiegazione è un’altra. Netanyahu, capo d’un governo di estrema destra assediato da mesi di manifestazioni di cittadini israeliani contro il suo tentativo di esautorare la Corte Suprema che lo accusava di corruzione, ed a causa della sua politica di pulizia etnica ed espulsione di tutti i palestinesi dai territori della Cisgiordania occupati illegalmente, che è stata ripetutamente condannata dall’ONU e viene ritenuta una scelta avventurista e nociva per lo stesso Israele, ha tentato di recuperare il consenso unitario del paese con un governo di unità nazionale, lasciando operare indisturbata Hamas, da lui già favorita in passato per giustificare la propria azione repressiva nei confronti dei palestinesi, come hanno denunciato le stesse Ong israeliane, per creare così il casus belli che gli avrebbe consentito di portare avanti un attacco distruttivo che altrimenti sarebbe stato fermato con maggior decisione dall’Onu e dall’opinione pubblica internazionale come un crimine contro l’umanità. Israele non vuole la pace, come dicono le stesse organizzazioni pacifiste israeliane, perché dovrebbe rinunciare ai suoi progetti di inclusione della Cisgiordania, con la creazione di sempre nuove colonie e la pulizia etnica dei palestinesi, già denunciata dall’ONU.
La distruzione dell’ospedale ha segnato una svolta nel conflitto, compattando il mondo arabo contro Israele e provocando la cancellazione del previsto incontro con Biden e di quell’”Accordo di Abramo” con Bahrein ed Emirati, a cui avrebbe dovuto aderire anche l’Arabia Saudita, e la condanna di Israele da parte dei governi egiziano e giordano, che avevano riconosciuto lo stato di Israele, a causa dell’impressionante esplosione di proteste popolari, nei loro paesi, ma anche in Cisgiordania, in particolare a Ramallah, dove molti palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano, e si sono diffuse ovunque, anche in Occidente, a cui hanno partecipato anche rabbini ebrei. Per la prima volta sono scesi in piazza contro Israele anche i cittadini arabi israeliani, che costituiscono il 20% della popolazione del paese. Sono numerose le dichiarazioni di condanna di associazioni pacifiste israeliane, come B’tselem, Yes Din, Peace now ed altre, che accusano Israele di “apartheid”, come pure di rabbini ortodossi del movimento Satmar e il gruppo Naturei Karta. Ha portato anche ad una possibile estensione del conflitto con l’intervento degli Hezbollah al confine libanese.
Una parte consistente della popolazione israeliana ritiene che l’affermazione di Hamas sia il prodotto della politica sbagliata di Netanyahu di pulizia etnica dei palestinesi della Cisgiordania attraverso l’insediamento di coloni, e dell’isolamento dei palestinesi moderati, che ha finito per screditare Abu Mazen e l’ANP, ormai ritenuti collaborazionisti di Israele, favorendo l’affermazione di Hamas come uno difensore dei palestinesi. L’intenzione di Biden di dissociare Hamas dal popolo palestinese non ha spazio nella realtà, perché una parte consistente della popolazione palestinese s’è ribellata anche ad Abu Mazen e all’ANP, dato che le ultime elezioni sono state vinte, nel 2006, da Hamas, che ha preso il controllo di Gaza ma non della Cisgiordania, e da allora l’ANP, d’accordo con Israele, le ha continuamente rinviate, nella certezza che avrebbero decretato una grande vittoria di Hamas, ritenuta ormai dai palestinesi l’unica organizzazione di resistenza in Palestina.
Israele ha sempre rifiutato di accettare le risoluzioni dell’ONU (446, 452, 455, 461, 466), e la Convenzione di Ginevra, che ritengono illegale l’occupazione della Cisgiordania, che dovrebbe essere solo temporanea, vietando gli insediamenti e lo sfruttamento delle risorse nel territorio occupato illegalmente.
In Cisgiordania solo il 18% del territorio, con le città di Ramallah, Betlemme, Gerico, Hebron, è governato dall’ANP, ma si tratta di “isole” frammentate e separate da infrastrutture e colonie illegali (raddoppiate dal ’95 e incentivate e finanziate dal governo, i cui abitanti sono cresciuti dal ’95, da 100.000 ad 800.000 per espandere l’area sotto controllo militare israeliano); ai palestinesi è impedita la mobilità sulle strade, che sono ad uso solo israeliano, e l’accesso alle risorse naturali e all’istruzione; l’acqua è assente da 440 villaggi israeliani ma abbondante nelle vicine colonie israeliane ed è comunque razionata (320 litri al giorno per gli israeliani e da 35 a 70 litri, secondo le zone, ai palestinesi). A Gerusalemme est sono vietate nuove costruzioni palestinesi, aumenta la demolizione di case palestinesi e la requisizione per darle agli israeliani.
Dal 2005 Gaza è completamente circondata ed isolata e tutti servizi e le infrastrutture sono controllate dagli israeliani e la metà dei giovani sotto i 14 anni ha tentato il suicidio. In generale aumentano fortemente le violenze dei coloni contro i palestinesi, che restano impunite e anche a livello giuridico v’è una differenziazione in tre categorie di diritti, con in testa gli israeliani. Per l’ONU si trattava di “una bomba pronta ad esplodere…causata da un crescente senso di frustrazione e disperazione”, e infatti è esplosa. Nel 2006 Giulio Andreotti, a proposito dei palestinesi, ha detto: “Chiunque sarebbe un terrorista dopo 50 anni in un campo di concentramento, con i figli senza futuro”.
Ma per comprendere ciò che è avvenuto non è possibile fermarsi ai soli tragici attacchi odierni, ma occorre valutare il contesto più complessivo in cui tale attacco è avvenuto. La guerra fra Israele e palestinesi, dichiarata ora da Netanyahu è già in corso, ininterrottamente, con alti e bassi, dal 1947, quando le organizzazioni terroristiche ebraiche (Haganà, Irgun, Leḥi Banda Stern) disobbedendo alle decisioni dell’ONU, hanno effettuato la Nakba (il “disastro” per i palestinesi), occupando, con solo il 37% della popolazione, il 70% del territorio della Palestina, distruggendo circa 500 villaggi, compiendo numerosi massacri (i più famosi sono gli stermini di Deir Yassin e Tantura) e costruendo al loro posto dei kibbutz armati, costringendo all’esilio 750.000 arabi palestinesi e impedendo il loro ritorno in patria. Israele è considerata dal ’67 dall’ONU in stato di “occupazione belligerante” e dal 2008, prima del conflitto odierno, sono morti negli scontri 308 israeliani e 6407 palestinesi. La giustificazione ideologica era che la Palestina era la “terra promessa” agli ebrei da Dio, giudicando gli arabi degli intrusi, mentre in realtà sono i veri discendenti degli antichi palestinesi di cui una piccola parte ha mantenuto la religione ebraica, mentre gli altri erano stati forzatamente convertiti prima al cristianesimo e poi all’islamismo; ironia della sorte gli askenaziti, che costituiscono la classe dirigente di Israele, sono discendenti (come dimostrano le analisi genetiche), del Canato dei Cazari, che si sono convertiti, fra l’VIII e il IX secolo dopo Cristo, all’ebraismo e dunque non si tratta certo d’un loro “ritorno alla terra promessa”.
L’invio di due portaerei e lo stanziamento di 100 miliardi di dollari per finanziare gli armamenti di Israele, Ucraina e Taiwan, mostra la correttezza dell’analisi di Lucio Caracciolo, secondo cui l’attuale scontro si inserisce in un quadro geopolitico globale di cambiamento epocale, che vede molti soggetti politici, come Israele, che cercano di approfittare della Guerra Grande fra le grandi potenze.
In questa situazione la realizzazione della decisione dell’ONU “due popoli, due stati”, che Biden e l’Europa dicono di sostenere appare un’affermazione retorica quantomeno irrealistica, dato che Netanyahu ha affermato che “non ci sarà mai uno stato palestinese” e di aver parlato con Biden di una possibile estensione della sovranità israeliana alle colonie in Cisgiordania. Per una politica di pace occorre innanzitutto fermare l’aggressione israeliana e poi tornare alle richieste dell’ONU del 2017, secondo cui “l’attività di insediamento israeliano nei territori occupati è incompatibile col diritto internazionale” e che chiesto la fine delle discriminazioni di legge, delle deportazioni e delle violenze, la loro condanna penale (ora assente nel 91% dei casi), l’abbattimento dei muri, la garanzia di uguali diritti civili e sociali (di welfare) per tutti, la fine della detenzione amministrativa, specie per i giovani (per periodi illimitati, senza motivazione e senza processo), ma si tratta di norme non coercitive che Israele ignora. È necessario il superamento della dimensione etnico-confessionale dello Stato degli ebrei, il ritorno alla legalità, il rispetto elle risoluzioni dell’ONU, finora continuamente violate, il superamento delle discriminazioni, la fine delle colonie nei territori occupati e un reale autogoverno palestinese.
Il famoso scrittore israeliano Abraham Yehoshua suggerisce agli ebrei di non chiudersi nell’unità spirituale con Europa ed America come un avamposto in una terra straniera, ma di imparare a conoscere i loro vicini, instaurando un dialogo culturale fra i popoli della sponda sud del Mediterraneo, superando pericolose nostalgie religiose.
Giancarlo Saccoman
Pubblicato il 24 Ottobre 2023