Perché il neocolonialismo mina anche la nostra democrazia
Si riportano qui alcuni esempi storici e alcuni casi concreti come impulso, come sollecitazione, per approfondire e per allargare il nostro orizzonte. Stante l’atavico provincialismo italiano.
Noi, com’è noto, siamo alle prese con la cosiddetta “Fortezza Europa”. Con i barconi, con la “rotta mediterranea”, con la “rotta balcanica”, con la vergogna del campo dell’isola di Lesbo (problema europeo, non della sola Grecia), con la vergogna del campo di Lipa in Bosnia ecc.
Con la vergogna, solo come esempi ultimi di una lunga serie di naufragi, della strage di migranti affogati al largo di Cutro in Calabria nel febbraio scorso e della strage di migranti affogati al largo del Peloponneso (Grecia) in giugno.
Ma occorre allargare il discorso, occorre allargare l’orizzonte. La migrazione preponderante nel pianeta è quella Sud-Sud. Secondo alcune stime in questi quattro decenni di neoliberismo (i “quaranta gloriosi” per il capitalismo neoliberista) in Asia, Africa e America Latina si sono spostate circa un miliardo di persone. Anche come semplice classica espulsione dalle campagne di manodopera a causa della rovina della “piccola agricoltura famigliare di sussistenza”, in presenza dello agrobusiness (agricoltura altamente meccanizzata e con largo uso di prodotti chimici, monocolture ecc.) e a causa dei cambiamenti climatici ecc.
Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, ricordiamo solo un evento. Nell’agosto 2022 le disastrose piogge monsoniche, dopo tre mesi di caldo torrido e di siccità (temperatura costante sui 40 gradi), in Pakistan hanno causato alluvioni distruttive. 1.000 morti e soprattutto 33 milioni di sfollati, su una popolazione che ammonta a circa 230 milioni. Altra spinta per molti di tentare la via della migrazione.
La conseguenza è la cosiddetta esplosione urbana, con i “quartieri informali”, in realtà una vera “bidonvillizzazione del mondo” (Samir Amin). Molte città nel Sud Globale presentano enormi slums, favelas, bidonvilles ecc. Lagos, Nairobi, Il Cairo, San Paolo, Rio De Janeiro, Città del Messico, Manila, Mumbai, Calcutta, solo per citarne qualcuna. L’invivibilità in queste condizioni (acqua contaminata, mancanza di fogne, disoccupazione, promiscuità ecc.) costringe parte di questi inurbati a tentare la via della migrazione verso il Nord Globale.
Un solo esempio, come modello a cui fare riferimento. Noi in Europa consideriamo la “rotta mediterranea” e la “rotta balcanica”. Ma un’altra rotta è continuamente attiva e alimentata da esseri umani disperati. Si tratta della “rotta orientale”. L’Etiopia è in rapido sviluppo. Questo sviluppo, come spesso avviene nelle periferie del mondo, investe soprattutto le città. In presenza di grandi investimenti di capitali cinesi, in primo luogo, ma anche di capitali sauditi, per infrastrutture, fabbriche, ferrovie, strade, linee elettriche, telefoniche, internet ecc. Le campagne invece soffrono. Come in generale l’intero Corno d’Africa nel quale non piove da vari anni e che la grande siccità miete vittime in greggi, armenti ed esseri umani a migliaia.
Migliaia di disperati si mettono in cammino per cercare fortuna altrove. Ogni giorno a Obock, nel piccolo stato di Gibuti, circa 2.000 persone con i soliti barconi di fortuna attraversano il Golfo di Aden e giungono nel prospiciente Yemen. Nessuno conta quanti vengono inghiottiti dal mare. Chi scampa alla morte e giunge nello Yemen viene ammassato in veri e propri campi di concentramento, come avviene in Libia, dove sono vessati, maltrattati, abusati. Trafficanti yemeniti li portano in Arabia Saudita dove vengono adoperati come manodopera semischiava a disposizione di imprese e di quegli affaristi sauditi, considerati gentiluomini in Occidente e in Italia per ovvie ragioni di opportunismo economico e geopolitico.
Si tratta di circa 300/400 mila lavoratori etiopi. Periodicamente 100 mila di loro vengono espulsi e rimpatriati in Etiopia. Il loro posto viene preso dai nuovi arrivi di emigrati etiopi e del Corno d’Africa con salari ancora più bassi e con meno diritti. Si può ipotizzare che in realtà vi sia un tacito accordo o un accordo segreto tra Etiopia e Arabia Saudita per questo turpe commercio. Carne umana a fronte di investimenti sauditi. In ciò noi italiani abbiamo una lunga esperienza.
Alcuni casi storici come casi di studio.
a. Si diceva prima gli Usa. Paese, come Argentina, Brasile, Uruguay ecc., d’immigrazione per eccellenza.
Tra il 1820 e il 1914 45 milioni di europei sono emigrati nelle Americhe. Di questi ben 36 milioni negli Usa. Le ondate delle varie popolazioni ivi immigrate andarono a formare le gerarchie che caratterizzarono in parte la morfologia sociale all’interno del paese. Così avviene in molti paesi. Come è stato nel caso della Germania, nell’esperienza dei migranti italiani con turchi, spagnoli, portoghesi, jugoslavi ecc. tra anni cinquanta e anni settanta.
Negli Usa, le ondate sono state di irlandesi, di tedeschi, di scandinavi dopo il 1848 e, tra fine Ottocento e inizi del Novecento, le ondate di cinesi, di italiani, di emigrati dall’Est europeo, compresi molti ebrei per sfuggire a persecuzioni e ai tristi pogrom, sistematici e sanguinosi.
b. Cina. La popolosa Cina è il paese che nella storia ha contribuito maggiormente al fenomeno migratorio. Nella seconda metà dell’Ottocento milioni di contadini poveri, soprattutto della parte meridionale del paese, a causa delle due odiose guerre dell’oppio e della rivolta dei Taiping, sono emigrati in Indocina, in Malesia, in Indonesia, a Singapore e nelle Americhe, Nord e Sud. Da qui le molte e numerose comunità cinesi della diaspora.
Negli Usa, i cinesi, i famosi coolies (sia indiani che cinesi), vennero impiegati come manovali, minatori ecc. per la costruzione di ferrovie, di strade, di infrastrutture in generale, a sostituire i neri-negri dopo l’abolizione della schiavitù.
c. Svizzera. In Svizzera il 26% della popolazione è straniera o di origine straniera. Questo paese non può fare a meno di questi stranieri nelle varie attività produttive e del lavoro di numerosi lavoratori transfrontalieri, molti dei quali sono italiani.
Malgrado ciò periodicamente si tengono referendum per limitare la presenza degli stranieri. In questi referendum regolarmente vince il no. Servono questi referendum tuttavia per mantenere una sovrastruttura, una ideologia, una pressione, una ostilità fino al razzismo e alla xenofobia. È un deterrente antropologico, culturale e politico. Il retroterra è nel segno del “mi servi, ti uso, ti sfrutto, ma non sei gradito”.
d. Germania. Sulla emigrazione italiana in Germania si dovrebbe parlare a lungo. Sono tristemente famose le baracche che ospitavano precariamente, tra anni sessanta e settanta, i tanti lavoratori italiani. Le varie ondate di greci, spagnoli, jugoslavi, portoghesi, di turchi, di curdi e dopo il 1989 le varie ondate provenienti dall’Europa dell’Est completano il quadro tedesco.
La Germania ci serve anche come comparazione con l’Italia a proposito di programmazione. L’Italia essendo notoriamente incapace di programmare e di pianificare. Non solo “carattere nazionale”, ma soprattutto carattere peculiare del capitalismo italiota.
Lo aveva anticipato a suo tempo, dal 2010 in avanti, l’ex ministro degli interni della Cdu Thomas De Maiziére, nel governo di Angela Merkel. “La Germania nel prossimo decennio ha bisogno di 10 milioni di lavoratori stranieri, e molti di questi debbono essere qualificati”. L’ingegnere siriano molto preparato e profugo di guerra viene accolto volentieri… Le ragioni sono presto dette:
Progressivo e irreversibile calo demografico e invecchiamento della popolazione tedesca. Molto simile al caso italiano.
Ampie disponibilità finanziarie e quindi necessità di investimenti e di allargamento della base produttiva. Oggi ciò reso problematico a causa della guerra in corso. Concepita anche come allineamento dell’Europa e rottura della possibile intesa Europa-Russia. Con il ruolo subalterno, nella guerra Usa-Nato-Ucraina-Russia, della Germania e dell’Europa tutta e con il fine conseguito dagli Usa di condizionare l’economia tedesca, compreso l’affaire del gas russo a prezzo molto favorevole per il capitalismo tedesco. Sabotaggio del North Stream compreso. Il concorrente capitalistico tedesco è stato messo in difficoltà dagli Usa.
Per tenere relativamente bassi i salari. Questo fine naturalmente taciuto dal ministro. È implicito.
Il caso italiano
L’Italia ha un problema. Tra i tanti problemi che la caratterizzano. L’Italia è storicamente il paese, dopo la popolosa Cina, che ha dato al mondo più emigrati. Ma è proprio tipico dell’Italia il non aver fatto mai fino in fondo i conti con questa triste sua storia. Almeno dall’Unità a oggi. È una delle tante anomalie italiane. Coinvolge in ciò, in alto, soprattutto le classi dominanti e i gruppi dirigenti, ma purtroppo anche in basso le classi subalterne.
Dal 1876 al 1976 circa 25 milioni di italiani sono stati costretti a emigrare. Ma c’è chi calcola 28-30 milioni. Un vero e proprio bagno di sangue. Al momento dell’Unità l’Italia aveva circa 26 milioni di abitanti. Un’altra Italia composta di migranti si è spostata nel mondo.
Le classi dominanti e i gruppi dirigenti italiani a proposito del fenomeno migratorio pensavano invariabilmente come De Gasperi nell’immediato secondo dopoguerra. L’emigrazione italiana è “valvola di sfogo”, per un paese ancora povero, con grandi problemi a causa della disoccupazione ecc. Pensavano, ma non lo dicevano, anche all’emigrazione come valvola di sfogo delle tensioni sociali e politiche, in Italia molto acute.
Cinico modo di pensare. Ciò condusse al turpe commercio di carne umana nell’accordo Italia-Belgio del 1946. Un minatore italiano emigrato in Belgio equivaleva all’ottenimento di 200 chilogrammi di carbone. Con le annesse umilianti visite mediche da parte di medici belgi in territorio italiano per poter emigrare. Equivalenti alle visite mediche a Verona da parte di reclutatori tedeschi per selezionare manodopera italiana da impiegare in Germania. Leonardo Sciascia ha scritto un racconto, incluso in Il mare colore del vino, a proposito di visite mediche da parte svizzera per reclutare ragazze siciliane. La sovranità italiana, tanto sbandierata oggi dalle destre, è stata molto limitata, non solo nei confronti degli Usa e della Nato.
L’Italia continua a essere paese di emigrazione. Soprattutto di giovani e di laureati. Da alcuni decenni mediamente ogni anno circa 150.000 giovani partono per cercare fortuna all’estero. Ma dagli anni settanta e soprattutto dagli anni novanta è paese di immigrazione.
Alcuni dati e alcune dinamiche per comprendere. A oggi, tenendo conto che da anni un certo numero di migranti rientra nel paese d’origine, gli immigrati sono circa 5,4 milioni presenti nel paese. Rappresentano il 8,7% della popolazione residente (9% se si contano i cosiddetti “irregolari”, i “clandestini”).
La propaganda di destra, e non solo, negli anni ha ingigantito e ha allarmato sulla “invasione”, sulla “sostituzione etnica” ecc. La percezione diffusa nella popolazione italiana è che la percentuale sia molto più alta. In un’indagine in alcune università italiane, e quindi in giovani scolarizzati, è risultato che la maggioranza di loro pensa che la percentuale di migranti presenti sia del 25% della popolazione residente. Una vera invasione.
I migranti in Italia sono classicamente provenienti da Asia, Africa e America Latina. Ma adesso sono provenienti soprattutto dall’Europa dell’Est, anche comunitaria com’è nel caso della Romania. Come si diceva della Germania, i migranti suppliscono al preoccupante calo demografico italiano con relativo invecchiamento della popolazione. L’Italia ha bisogno pertanto della forza-lavoro straniera. Alcuni ambienti del capitalismo italiano, Confindustria compresa, lo dicono esplicitamente. Per il presente occorrono circa 500 mila lavoratori e lavoratrici stranieri. Occorrono i migranti.
In Italia il picco della popolazione si è raggiunto nel 2016 con 60 milioni e 589 mila abitanti. A gennaio 2023 il numero si è ridotto a 58 milioni e 851 mila. L’indice di fertilità (numero di figli per donna) che nel 1962 era di 2,69 è diminuito al 2021 a 1,25 (con 1,18 per le italiane e 1,87 per le migranti). Il calo demografico è pertanto frenato dall’apporto delle famiglie straniere.
Solo 1 migrante su 8 ha un lavoro altamente qualificato. Quasi il 90% è impiegato nei lavori “5p” (precari, pesanti, pericolosi, poco pagati, penalizzati socialmente). Manovali di qualsiasi natura, nei settori dell’edilizia, del bracciantato agricolo, della pulizia, della ristorazione, della logistica, del facchinaggio, della cura della persona (badanti ecc.), della consegna del cibo (riders ecc.).
Naturalmente molto è lavoro nero, senza diritti e senza protezione. E a proposito di incidenti sul lavoro, essendo molti i morti e i feriti tra i migranti. Per tutti, italiani e stranieri, la questione è che le norme esistono, esistono le leggi ecc. Ma rimangono sulla carta se non ci sono misure attuative, se non ci sono ispettori del lavoro e non ci sono controlli continui. In Italia si può tranquillamente dire che vige un compromesso tra istituzioni dello Stato e imprese, tra Stato e capitalismo italiano. Implicito o esplicito. Significa laisser faire, laisser aller, non intralciare gli affari e il libero corso dell’economia. Economia senza ecologia e senza politica.
Adelante Pedro, con juicio. Sbraitare a ogni incidente sul lavoro, promettere a ogni pie’ sospinto nuovi ispettori del lavoro, controlli rigorosi, pene severe, invocare svolte. Ma tutto rimane come prima. Proprio come succede a ogni calamità naturale, siccità, alluvioni, terremoti ecc. Niente di nuovo. Le imprese italiane non debbono temere. Quelle in regola, osservanti tutte le norme, e quelle che eludono norme, regole, leggi, che prosperano in questo tacito, vero, compromesso storico.
Due casi per capire il modello Italia. Investono il nostro Sud, ma sicuramente queste cose avvengono anche in altri luoghi d’Italia, Centro e Nord. Sono storie di sfruttamento del bracciantato agricolo, di caporalato, di paghe da fame. Ricordiamo, il pagare il migrante nella raccolta di frutta con 1 (uno) euro a cassetta di mandarini e 0,50 (50 centesimi di euro) a cassetta di arance non è così raro.
Il primo episodio è quello dell’intercettazione telefonica alcuni anni fa per un’inchiesta di mafia. In provincia di Cosenza, al telefono un proprietario parla con un caporale e richiede che porti nel suo terreno “le scimmie”, i braccianti neri, per finire il lavoro di raccolta. Alla domanda del caporale come fare per dare loro acqua, stante il caldo torrido e il lavoro pesante, risponde tranquillamente di dare loro “acqua di scolo” in loco con le bottiglie di plastica ivi giacenti.
Il secondo episodio è nel ragusano in Sicilia. Sempre alcuni anni fa. Anche in questo caso si tratta di braccianti agricoli nelle numerose serre in quella parte dell’isola. Qui ai soliti “imprenditori”, imbroglioni e sfruttatori senza macchia e senza paura, si aggiunge la protervia del maschio dominante, il gallismo, il maschilismo dei “galantuomini” di cui quella terra abbonda. Sempre intercettato, un “imprenditore”, oltre allo sfruttamento di uomini e donne dell’Est, aggiunge le prestazioni sessuali richieste alle donne, con il solito ricatto del lavoro che quelle donne possono perdere se non soddisfano. Donne spesso aventi il marito che lavora nella stessa serra. Una umiliazione in più. Non guasta, anzi aumenta il piacere, calpestare ancor più la dignità delle persone, donne e uomini.
Sfruttare e disumanizzare. Disumanizzare e sfruttare. Togli l’umanità alla vittima, al subalterno e non ti porre remore o ripensamenti. È il modo più semplice, meno problematico da parte dell’aguzzino.
Primo Levi ci ha dato pagine memorabili su ciò, soprattutto in quel capolavoro che è I sommersi e i salvati. Untermensch (sottouomo) è il primo passo da compiere. Franz Stangl, il boia di Treblinka, scampato alla cattura dopo la fine della guerra, in un’intervista del 1970, spiegava così alla giornalista che gli domandava perché riducevano gli internati alla fame, al freddo, allo stato così pietoso, pur sapendo che li avrebbero eliminati con le camere a gas e i forni crematori, il vederli ridotti così comportava meno problemi per gli aguzzini. Nell’atto finale gli Untermenschen ammazzati su scala industriale. Quasi un atto di liberazione dallo stato in cui si trovavano.
Così Malcolm X spiegava nell’Autobiografia. Per sfruttare meglio il nero (il nigger, il negro) devi considerarlo inferiore, un animale. Così i nostri campioni della “imprenditoria” italiana nei confronti dei migranti, soprattutto se di colore. Togli l’umanità alla tua forza-lavoro e avrai meno problemi a sfruttarli.
Come conclusione. La migrazione è problema strutturale, ripetiamolo. Dinamica inevitabile in un pianeta malmesso, diseguale, squilibrato.
Enrico Pugliese, sociologo italiano, valente studioso da sempre della questione migrazione, oltre che della questione meridionale e dei problemi dell’agricoltura italiana, riferiva la paradossale espressione di un collega sociologo belga. “For migration there is no final solution”. Non c’è “soluzione finale”, sinistra definizione nazista a proposito di ebrei, rom, omosessuali ecc.
La guerra tra poveri è in atto, in ogni luogo, soprattutto nelle disastrate, spesso orribili, periferie delle nostre città. Non si può eludere il problema, come troppo sovente si fa, anche a sinistra, sinistra politica e sinistra sociale.
L’attitudine umanitaria, la solidarietà e la scelta morale ci debbono sempre guidare in tutto ciò. Ma occorre molto realismo, molta lucidità, nel considerare e affrontare questo problema. È problema strutturale e permanente. Non basta la solidarietà. Realismo e supplemento di cultura, di coscienza critica, di politica.
È in gioco la nostra democrazia, la nostra civiltà. Sono in gioco la fibra intima, la qualità della nostra convivenza civile. Un vento di destra e di estrema destra soffia nelle nostre società, in Italia e in Europa.
Si inizia a dare della scimmia al nero e si può finire con le manganellate vere, con le bastonature, o peggio, agli stranieri. E poi, come atto finale, agli stessi autoctoni non corrivi con la barbarie civilizzata dei bianchi suprematisti europei e occidentali. Il colonialismo e l’imperialismo di cinque secoli hanno impresso un marchio indelebile nell’europeo e nell’occidentale. E nell’italiano.
Giorgio Riolo
fine (la prima parte è stata pubblicata sul numero 13 dell’11 luglio 2023)
Pubblicato il 25 Luglio 2023