Piombino, (ex) città fabbrica
Il 24 aprile 2014, alle 10:56, viene spento a Piombino l’ultimo altoforno di una storia più che centenaria. E’ una data storica dal punto di vista industriale e sindacale, nonché dal punto di vista simbolico per la città fabbrica toscana; per i lavoratori dell’acciaio; per le donne e gli uomini che, all’ombra degli stabilimenti siderurgici, hanno vissuto per lungo tempo. In quei giorni, un operaio sta digiunando per la dignità del lavoro, alla portineria centrale dello stabilimento; si chiama Paolo Francini e queste parole sono dedicate a lui: “Non sono tutti, ma sono qui. Qui c’è quello del Tve con i capelli ricci, e c’era anche ieri, a farti compagnia nel tuo digiuno per il lavoro di tutti. Ci sono i due operai delle imprese d’appalto che passano la notte con te, mentre io russo, addormentato sullo striscione delle Rsu. C’è anche chi scivola, con gli occhi bassi, lungo il muro più lontano per evitare perfino di salutarti… Nel mattino opaco del giorno in cui l’altoforno si spegne, questo giovane operaio ti stringe anche lui la mano. Ti ha detto: ‘Mi fai sentire orgoglioso di essere un lavoratore’: sta cominciando a piovere, e mi viene da cantare l’Internazionale”.
Il declino della fabbrica viene da lontano. Le Partecipazioni statali, proprietarie dello stabilimento, negli anni ’80 (del secolo passato…) riducono le manutenzioni al minimo; le emissioni di impianti già inquinanti, come la cokeria, si fanno così ancora più aggressive ai danni della salute dei lavoratori e della popolazione, peraltro da sempre abituati allo “spolverino”, che annerisce i davanzali delle case e i polmoni delle persone. Nonostante l’incuria padronale e l’insensibilità sindacale, mentre la massa dei lavoratori resta silenziosa, in città cresce la protesta ambientalista: la grande mobilitazione vincente contro la megacentrale a carbone, a metà degli anni ’80, sarà un segnale inequivocabile, benché assai poco valorizzato in sede sindacale. Intanto, nel nuovo contesto siderurgico mondiale la riduzione della produzione europea provoca riduzione del personale: a Piombino si registrano centinaia di prepensionamenti, certo non sgradevoli, ma ambigui nel loro esito. Il numero degli addetti cala di più di 2.000 unità rispetto al picco di 7.000, raggiunto nel 1983. Si disperdono professionalità indispensabili, mentre la figura sociale collettiva e combattiva dell’operaio – pur industrialista, certo non femminista – sbiadisce in quella individuale del prepensionato poco più che cinquantenne, non di rado disponibile ai lavoretti in nero. Piombino sta cambiando pelle e cambierà cuore; un processo liquido e contraddittorio, che in qualche misura colgono pure il libro Acciaio della Avallone, da cui il film omonimo di Mordini, nonché “La bella vita” di Virzì, nonostante le sdegnate e superficiali prese di distanza istituzionali di allora. Il blocco sociale d’acciaio, coagulato politicamente per decenni intorno al Pci, comincia a sgretolarsi. In margine al congresso che segnerà poi la nascita del nuovo Pd americaneggiante (senza che mai si sia fatto ricorso al nome e alla tradizione della socialdemocrazia europea), l’Espresso potrà commentare così la sconfitta a Piombino del leader piombinese, pudicamente anti-Pd, Fabio Mussi: “I compagni d’acciaio sempre fedeli alla linea. Qualunque essa sia”. Sintomi di tale conformista mentalità tardo stalinista non scompaiono, nel perdurante e comprensibile provincialismo della città, da cui i giovani più scolarizzati se ne vanno.
Nel 1992 lo stabilimento viene scorporato dall’Ilva e conferito alla nuova SpA Acciaierie e Ferriere di Piombino, della quale fanno parte la stessa Ilva e il gruppo privato di Lucchini. Tre anni dopo l’industria passa completamente sotto la gestione Lucchini diventando Lucchini Siderurgica. Il 1992 rappresenta l’anno più drammatico perché l’azienda, ormai avviata alla definitiva privatizzazione, invia 780 lettere di licenziamento e i sindacati proclamano uno sciopero, caratterizzato da una dura protesta che dura 38 giorni consecutivi, con blocchi ferroviari e stradali, e ottiene la solidarietà della cittadinanza. Lo sciopero si risolve con la ripresa delle trattative e la cassa integrazione a rotazione, a cui seguono i contratti di solidarietà e infine nuovi prepensionamenti. La liquidazione dell’Iri, avviata da Romano Prodi, conduce quindi alla cessione completa delle acciaierie di Piombino al “tondinaro” bresciano Lucchini. La cultura industriale e sociale di quest’ultimo si può significativamente riassumere in un suo commento, a proposito delle proteste per i quattro morti sul lavoro, registrati a Piombino nei primi mesi del 1998, di cui tre nelle aziende di sua proprietà: “Piombino soffre di una mentalità preindustriale (sic!)”. Nel 1998 nasce a Piombino l’associazione Ruggero Toffolutti contro le morti sul lavoro, intitolata a un giovane operaio stritolato in Magona, allora proprietà Lucchini. Nel 2005 Lucchini cede il controllo a Severstal del russo Mordashov, oligarca putiniano, che completa il disastro: accumulati 800 milioni di debito, Severstal si accorda con le banche creditrici per la ristrutturazione del debito e cede formalmente il controllo dell’azienda alle banche stesse. Interminabili peripezie finanziarie dissanguano l’azienda, depauperano il patrimonio impiantistico già compromesso e opprimono i dipendenti. Ai primi del 2013 arriva il commissario ministeriale Nardi, il quale consiglia la vendita dello stabilimento piombinese. Nel marzo 2013, 10.000 persone manifestano in città perché “Piombino non deve chiudere”. Il 2014 si apre con l’arrivo del fantomatico imprenditore algerino Khaled Al Habahbeh, che riceve un’incredibile apertura di credito da parte sindacale (Fiom inclusa), nonostante le sue credenziali assolutamente negative.
Si formalizza invece l’offerta del gruppo indiano JSW di proprietà della famiglia Jindal, interessato all’acquisto dei soli laminatoi. Malgrado l’offerta preveda una forte riduzione dell’occupazione, nessuno mette in dubbio la sua autorevolezza, data l’esperienza dell’azienda nella produzione d’acciaio. Quando sembra ormai assodato l’acquisto da parte di JSW, ad ottobre 2014 si presenta in città Issad Rebrab, il principale imprenditore algerino, nonché ottavo uomo più ricco d’Africa. Rebrab è proprietario del gruppo Cevital, colosso che impiega circa 15.000 dipendenti. La forza del gruppo è il settore agroalimentare. Comincia la tragicommedia che condurrà alla proclamazione a Piombino di Rebrab “uomo dell’anno 2016”. Nasce Aferpi (Acciaierie ferriere Piombino), quasi 2200 dipendenti diretti più un migliaio dell’indotto. I sindacati si affrettano a firmare un accordo a scatola chiusa, privo di garanzie e penali in caso di inadempienza: questa resterà una costante disastrosa pure negli anni a venire. Esso prevede una riduzione delle retribuzioni pari al 30%. Nel frattempo, prosegue e dilagherà fino al dissanguamento l’emorragia di posti di lavoro nell’indotto. Rebrab promette meraviglie, istituzioni locali (Pd) e governi nazionali di vario orientamento, insieme ai sindacati confederali gli danno spago: a prescindere. Secondo le sue pretese, viene approvata la cosiddetta variante urbanistica Aferpi, la quale assoggetta nuovamente la vivibilità del quartiere del Cotone-Poggetto agli interessi dell’azienda, come nei decenni passati.
Nel 2015 si registra un fatto inconsueto: una minoranza sindacale (come la definisce un quotidiano locale) si organizza e prende la parola; al suo interno soprattutto cassintegrati delle acciaierie, iscritti a varie sigle sindacali, che non si fidano di Rebrab-Aferpi né di Nardi, puntano all’acciaio pulito di qualità e a un lavoro degno, rispettoso della salute degli addetti e della popolazione. Nella primavera del 2019 proporranno anche un importante progetto di Lavori di Pubblica Necessità, per impiegare disoccupati e cassintegrati in lavori pubblici in abbandono da lungo tempo, trasformando l’indennità di cassa integrazione in capitale d’investimento sociale; tale progetto verrà assunto con interesse dal Consiglio comunale di Piombino, all’unanimità (a questo link si possono trovare maggiori dettagli). E’ nato il Coordinamento Art.1-Camping CIG, dal campeggio di riflessione e di lotta del settembre 2015, installato alla rotatoria dell’unica via di accesso alla città, con vista sulla fabbrica. Camping CIG e minoranza Cgil avranno fin troppi motivi per denunciare la scarsissima credibilità di Cevital Aferpi; Usb pare assai più fiduciosa. Sindacati maggioritari e istituzioni locali, regionali e nazionali si affidano alla multinazionale di Rebrab, come in precedenza a Mordashov. Le mobilitazioni languono. Dei circa 1600 dipendenti attuali, un migliaio e più sono in cassa integrazione da anni; molti dal 2014. E il cuore di Piombino non batte più in sintonia con i lavoratori: un crescente sentire comune, che scambia ambientalismo con ottuso antindustrialismo, tracima sempre più di frequente in un acido sentimento antioperaio. La città sta vivendo intanto un altro passaggio disastroso. Viene lasciata morire la Tap, destinata a riciclare rifiuti industriali, i quali infestano immense aree del SIN (Sito di interesse nazionale) piombinese. Per ripianare la ventina di milioni di debito accumulati dall’azienda di igiene urbana, le amministrazioni locali (Pd) non trovano di meglio che lanciare Rimateria, una megadiscarica per rifiuti speciali provenienti da fuori zona, posta alle porte della città. Contro Rimateria cresce la giusta rabbia popolare, cavalcata dalla coalizione sedicente civica, guidata da Francesco Ferrari: nel 2019, Piombino elegge un sindaco iscritto a Fratelli d’Italia. E’ un trauma epocale, per quanto inserito nel contesto europeo e nazionale. Ferrari accompagnerà la privatizzazione di Rimateria in Rinascenza, senza mantenere le promesse di risanamento ambientale. Con abile trasformismo, tornerà sulla cresta dell’onda nel 2022, atteggiandosi a fiero oppositore del rigassificatore in arrivo a Piombino, voluto soprattutto dal governo della segretaria di… Fratelli d’Italia! Le acciaierie continuano ad agonizzare. Usb oscilla fra importanti posizioni di alternativa (v. rigassificatore); e strumentali ripiegamenti che accreditano ancora la multinazionale JSW, proprio come i confederali, pur di esserne legittimata; non conta ancora alcun eletto nelle Rsu, prima del rinnovo della primavera 2023, poi annullato su iniziativa della Fiom, i cui rappresentanti erano peraltro presenti ai seggi elettorali. Dopo un’intera epoca storica, la Fiom cessa di essere il primo sindacato, a vantaggio di Uil e soprattutto Fim: l’area congressuale alternativa de Le radici del sindacato in Fiom ha giustamente rilevato come si finisca con il perdere la fiducia dei lavoratori, quando si insegue il modello del sindacato filoaziendale e dei servizi, invece di rilanciare il sindacalismo classista, conflittuale, democratico, autonomo da padroni e governo.
Le proposte più mature – e convergenti, nel rispetto dell’autonomia di ciascun soggetto – provengono dal Camping Cig e dalla minoranza Cgil. Aggregazioni operaie, le quali si prefiggono di ricostruire l’alleanza fra lavoratori e popolazione, tra fabbrica e città, puntando sulla salute di tutti e la produzione di acciaio pulito di alta qualità. Ciò significa, per esempio, che l’indispensabile nuovo treno di laminazione delle rotaie, completo di tempra, deve sorgere lontano dall’abitato, come i promessi forni elettrici, caduti nel dimenticatoio. Se poi il treno rotaie piombinese miracolosamente lavorasse a pieno ritmo, quanti mai sarebbero comunque gli occupati? Degli altri treni di laminazione, il Tve è in agonia e il Tmp non regge quasi più. Quanti dunque gli esuberi? Serve lavoro degno e non altra cassa integrazione, peraltro in scadenza fra pochi mesi. E’ urgente impiegare disoccupati, cassintegrati ed esuberi siderurgici nei lavori necessari per il potenziamento delle infrastrutture locali; per la diversificazione economica in agricoltura, economia del mare e turismo di qualità sociale e ambientale. Mentre incombe la demolizione di quell’ultimo altoforno, in quasi totale solitudine, si propone di applicarvi il modello di archeologia industriale della Ruhr, per farne un monumento al lavoro e una tessera importante della diversificazione turistica. Occorre in ogni caso dare un futuro produttivo ed ecologicamente compatibile alle acciaierie, altrimenti quelle immense aree saranno utilizzati come una megapattumiera industriale, per attività e produzioni, le quali porterebbero poca e poverissima occupazione, mentre degraderebbero ulteriormente l’ambiente, cancellando numerosi altri e migliori posti di lavoro: su tutto ciò, serve subito una forte vertenza unificante per un piano di rinascita complessivo. Per gli esuberi non reimpiegati vanno previste comunque uscite incentivate, prepensionamenti eccetera. Nel quadro di un piano nazionale della siderurgia, oggi più che mai, è evidente che Jsw (guidata da Carrai dalle mille promesse…) non è affatto affidabile e se ne deve andare, per far posto al ruolo centrale e decisionale dello Stato, magari tramite Rfi, eventualmente insieme a un privato finalmente credibile, al quale porre i vincoli che non sono mai stati posti alle multinazionali di Rebrab e Jindal. Solo le lotte potranno garantire finalmente gli interessi dei lavoratori e della popolazione piombinesi. Se nel passato lotte decise e capaci di unificare le ragioni del lavoro e quelle dell’ambiente avessero imposto il caso Piombino come questione nazionale, non sarebbero arrivate la megadiscarica, né il rigassificatore; né saremmo al capitolo finale delle acciaierie: impariamo la lezione.
Alessandro Babboni e Paolo Gianardi
Le Radici del Sindacato, area congressuale alternativa in Cgil, Piombino (LI)
Pubblicato il 27 Giugno 2023