Quelle urne senza valore, tra astensione e propaganda
Mentre scriviamo, il silenzio avvolge finalmente la campagna elettorale appena conclusa: è calato il sipario su uno spettacolo francamente improponibile.
Uno dei messaggi più grotteschi è stato rappresentato dall’appello al voto, ripetuto enfaticamente, con una motivazione che più banale non si può: “Se non voti, decidono gli altri”, come se decidessimo “noi” recandoci alle urne.
Per chi non ha raggiunto il quorum, i voti espressi sono stati “inutili”, così come inutili appaiono le preferenze assegnate ai leader che, si sa da tempo, si dimetteranno dopo l’elezione. Mentre la partecipazione al voto è stata scadentissima, andando quasi ad inficiare la contesa, dimostrando nei fatti come un passaggio così importante nella vita dei cittadini – ossia le elezioni – abbia perso nel tempo molto del suo valore.
La retorica pubblica ci spiega che queste elezioni europee sarebbero tra le più importanti della storia; in realtà vengono considerate dai protagonisti un test di consenso ai leader nazionali, un super sondaggione, sospeso tra i canonici sondaggi settimanali che riprenderanno tra qualche giorno. Stando così le cose, appare complicato lamentarsi del fatto che la politica sia diventata soltanto “campagna elettorale”, dopo aver alimentato per anni un senso comune secondo il quale la propaganda, in quanto tale, è costituita da falsità, manipolazioni. Per la proprietà transitiva, se la politica è diventata campagna elettorale e se la campagna elettorale è costituita da propaganda, la politica è soltanto propaganda.
In un mondo normale, prima si vince e poi si diventa vincente (pensiamo ai giovani campioni tennistici italiani), mentre, nella narrazione politica, prima si diventa vincente e poi si vince.
I sondaggi che farebbero bene alla politica non dovrebbero registrare le intenzioni di voto ai partiti o il gradimento dei leader; semmai dovrebbero esercitarsi sul monitoraggio delle opinioni di merito per sapere orientativamente cosa pensino gli elettori delle guerre, dei salari, delle pensioni o del sistema sanitario.
Gli attuali sondaggi sui partiti, invece, fanno molto male alla politica, senza contare che sono spesso anche sbagliati e reticenti. Infatti, ci raccontano che FdI sta al 26%, il PD al 22%, il M5S al 16,5% e via via tutti gli altri, che sommati danno il 100% dei voti espressi; e soltanto di passaggio ci dicono che il 45% degli elettori intervistati si astiene dal voto. Se si volesse fornire al cittadino un quadro reale e serio, ed anche comprensibilmente preoccupato, occorrerebbe mettere in testa al grafico proprio la percentuale degli astenuti, rendendo plastica la crisi della politica e della democrazia.
Ecco perché – tornando all’inizio della nostra riflessione – gli appelli al voto sono vuoti ed ipocriti: perché poi, in sostanza, non si fa nulla per dare valore al voto, anzi, si fa tutto il contrario. C’è molto più qualunquismo nel voto di tendenza che nell’astensionismo, che meriterebbe di essere analizzato nel profondo, per capire le cause ed individuare le cure.
Nessuno può smentire il fatto che queste elezioni hanno rappresentato un test sul governo nazionale e questo è grave in sé; ma diventa diabolico nel momento in cui si decide di non conteggiare nella par condicio elettorale la propaganda del Governo e di sfornare, nelle settimane che precedono il voto, decreti elettorali a raffica che fanno impallidire le pratiche della scarpa sinistra data prima delle elezioni da parte della Democrazia Cristiana.
In questo clima, se prendiamo poi il personaggio Giorgia ed i toni che ha usato nel rivolgersi ai suoi avversari politici, ci troviamo di fronte ad un mastino che ha insultato tutti sul piano personale (Saviano, Scurati, Gruber, Travaglio, Annunziata ecc… la lista potrebbe essere lunghissima) e, nel contempo, ha distribuito querele a tutti coloro che si sono permessi di contestarla.
Colpisce molto la modalità arrogante ed irridente con cui si è rivolta a Conte e a Schlein. In una delle sue ultime performance, con toni oltremodo fuori misura, ha preteso una risposta dalla Segretaria del PD, ad una domanda “semplice semplice”, come se stesse interrogando un’alunna impreparata, poi le ha intimato di “non scappare”: la domanda è se la Schlein è dello stesso parere di chi in Europa non la considera una leader democratica. La premier ha dunque preteso quel pronunciamento perché pensa arrogantemente che sia scontato che lei sia una leader democratica, ma in realtà è vero il contrario: non appare proprio come una leader democratica e la pensano così la maggior parte dei leaders europei. E non perché lo abbia deciso Schlein, bensì perché conoscono le sue radici politiche, e conoscono gli alleati che ha in Europa. Conoscono anche i provvedimenti che ha preso e che minaccia di prendere, tutti orientati a comprimere le libertà dei giovani, degli ambientalisti, dei giornalisti, dei giudici, degli immigrati, delle donne e dei lavoratori. FdI ha infatti presentato un disegno di legge che vuole mandare in galera i lavoratori che occupano la fabbrica per difendere il posto di lavoro, nello stesso momento in cui lei occupa sistematicamente i Tg in prima serata. Stiamo parlando di una leader tipica di una fase di decadimento delle società democratiche, con un concetto traviato della democrazia, che presuppone l’esercizio arrogante e supponente del potere sovrano/assoluto in virtù di una maggioranza.
Più tecnicamente, qual è la differenza tra un Primo Ministro democratico ed un dittatore, ad esempio Erdogan, largamente considerato tale? Quella norma costituzionale da lui imposta che consente al Presidente di varare un Decreto Presidenziale (DPCM) senza passare dal Parlamento. In Italia non è possibile, salvo casi particolarissimi; ma quando il 100% delle leggi che vanno al voto del Parlamento sono decreti del Governo, comprese persino le leggi di riforma costituzionale, che vengono pedissequamente ratificate con procedure che impediscono azioni emendative (con ricorso al voto di fiducia quando c’è il rischio di un voto difforme del Parlamento), significa che stiamo scivolando verso un sistema che vuole fare a meno delle garanzie democratiche.
Quando la premier occupa tutto il sistema informativo pubblico, presidiando i media “indipendenti” con la nuova, inquietante, figura dei finti giornalisti o opinionisti trasformati in avvocati difensori del governo, significa che si sta scivolando dritti verso quell’abominio. Non abbiamo mai visto in Tv il direttore della Fondazione ‘Di Vittorio’ che presenta una ricerca sui temi del mondo del lavoro, o della Fondazione ‘Cattaneo’ che racconta le modificazioni nel tempo dei flussi elettorali… no, ogni sera ci vengono presentati i rappresentanti della Fondazione ‘Tatarella’, della fondazione ‘Almirante’ che, lontani dal produrre interventi competenti su qualsivoglia materia, abbaiano contro tutti coloro che criticano il governo.
Stiamo scivolando verso un sistema sempre meno democratico anche quando assistiamo alle sortite, della Presidente del Consiglio e del suo governo, garantiste con i propri politici accusati di corruzione e giustizialiste nei confronti di chi dissente…. o quando ci si disinteressa totalmente dell’omicidio di Giulio Regeni o della detenzione di Ilaria Salis e si va ad accogliere in pompa magna un ergastolano condannato per omicidio.
La crisi della nostra democrazia ha a che fare con l’ anoressia, non con la bulimia: non ce n’è troppa, ma troppo poca, e se si pensa di ridurla ancora di più attraverso il Premierato (che delega tutto ad una persona), attraverso l’autonomia differenziata (che differenzia i diritti e discrimina i cittadini) o attraverso il sorteggio e i test psico-attitudinali (che umiliano i giudici)… mettiamo in fila altri esempi della china intrapresa verso la deriva autoritaria.
Infine, sulla questione del fascismo. Il Presidente Meloni, potremmo dire, è un talento naturale: rivivono infatti in questi mesi paradossalmente, tutte le sue caricature, le sue pose, la sua teatralità, i suoi gesti ed i suoi detti (“molti nemici molto onore”, “il valore militare”; “chi mena per primo mena due volte”). Il problema non è che Meloni non si dichiari antifascista; il fatto è che rivendica le sue origini fasciste con le sue idee, con le sue proposte, con i suoi provvedimenti ed anche con i suoi comportamenti, arroganti ed aggressivi da una parte, e vittimistici dall’altra.
Soltanto chi non vuole capire, non capisce che il suo vittimismo, la sua autodefinizione di under dog, i suoi continui riferimenti alle discriminazioni subite per tanti anni da lei e dalla sua parte politica, non sono altro che la rivendicazione delle sue origini fasciste. Il fascismo è l’unica sacrosanta discriminazione politica esercitata dalla nostra democrazia Costituzionale, mentre la premier non soltanto rivendica una continuità con quella storia, ma dichiara il suo diritto alla rivincita; si direbbe quasi alla vendetta.
La nostra democrazia è in pericolo non soltanto per come viene interpretato l’esercizio del potere, ma anche per come viene raccontato dal sistema informativo, che ha quasi spento il suo occhio vigile.
Come disse Hannah Arendt (“La menzogna in politica”), “più un bugiardo ha successo, più gente riesce a convincere, più è probabile che finirà anche lui per credere alle proprie bugie”.
Pietro Soldini
Pubblicato il 11 Giugno 2024