Same, in assemblea per la sicurezza. Ricordando Mattia Battistetti
Ogni infortunio mortale esige giustizia. In Italia ne avvengono quasi tre al giorno. Ma cosa succede quasi sempre, dal giorno dopo, una volta che si sono spenti i riflettori dei media? Silenziosamente, parte il paziente lavoro di studi infortunistici e avvocati, anche quelli di parte sindacale. Dopo la richiesta di risarcimento del danno civile a favore dei familiari delle vittime, certamente doverosa, l’assicurazione dell’impresa apre il fascicolo. Si accerta e si discute la colpa del datore di lavoro, più o meno evidente, ma quasi sempre presente, non fosse altro che per mancata sorveglianza. Si definisce così una somma a favore di ciascun familiare, secondo le tabelle del danno tanatologico del tribunale di Milano, più o meno rilevante a seconda del grado di responsabilità accertato, dell’età della vittima, del grado di parentela di ciascuno.
E finisce lì, spesso ancora prima che inizi il processo. Se questo verrà aperto dalla procura della Repubblica, i familiari potranno essere chiamati a testimoniare, e a dichiarare di essere stati risarciti. Ciò potrà comportare una consistente riduzione della pena per il responsabile. Sia chiaro, si tratta di scelte legittime, su cui non ci permettiamo di dire nulla. Spesso nei familiari prevale la spossatezza interiore, dopo una autentica Hiroshima emotiva, la voglia di chiudere tutto, rimuovere le macerie da ciò che rimane della famiglia, e cercare di ricostruire un proprio piccolo equilibrio. Ma quando una madre, prima ancora che il risarcimento, esige dallo Stato giustizia piena e totale, compie una battaglia di civiltà eroica e per tutto il mondo del lavoro, che la Cgil deve continuare a sostenere pubblicamente e in giudizio, in ogni modo e con tutta se stessa – non a caso si è costituita parte civile -, perché ciò è il senso stesso del concetto morale e giuridico di omicidio sul lavoro.
Mattia così rivive dolorosamente, ma rivive con vigore. Se fosse stato oggetto di risarcimento, sarebbe rimasto un numero estratto dai 1.041 caduti di quell’anno. Se è oggetto di giustizia, diventa un nome e un volto da ricordare in ogni occasione.
“Era un ragazzo di 23 anni, che il 29 aprile 2021 venne travolto in un cantiere edile dal carico di una gru, posta in manutenzione soltanto sulla carta. C’è un processo in corso in cui sono indagate tutte le imprese che operavano nel cantiere, dall’assegnataria fino ai diversi gradi di appalto”: così Eliana Como, che ricostruisce quanto accaduto a Mattia, aprendo la partecipatissima assemblea dei lavoratori e delle lavoratrici dello stabilimento bergamasco di trattori Same, alla quale erano presenti mamma Monica e papà Beppe. Monica racconta la storia, cercando faticosamente di imporre la voce al pianto.
Mattia, dopo il diploma, aveva preferito il lavoro di ponteggista alla continuazione degli studi. Un lavoro che amava, nonostante la fatica fisica e le 12 ore al giorno, tanto che il sabato mattina andava gratuitamente a lavare i furgoni della ditta. Il lavoro, il volontariato alla Croce Bianca del suo paese nel trevigiano e la compagnia degli amici costituivano tutto il suo mondo, nobile e pulito come la sua famiglia. “Sei persone sono state rinviate a giudizio per omicidio colposo, e sono responsabili in quel maledetto cantiere di non avere investito in sicurezza, di non avere investito in formazione, di non avere organizzato correttamente il lavoro”, denuncia mamma Monica, giunta con il sostegno e la presenza dell’area CGIL “Le Radici del Sindacato” all’ottava udienza di un processo iniziato il 6 gennaio 2023 presso il tribunale di Treviso.
“L’unica volta che la ditta Bordignon, in cui lavorava Mattia, si è fatta sentire è stata dopo un mese dal decesso, attraverso i legali della sua assicurazione, per proporre un risarcimento. L’avvocato – prosegue mamma Monica – mi ha detto che avrei potuto fare io stessa una proposta di risarcimento, che avrebbe sottoposto alla ditta. Ma una volta definita la cifra, la famiglia sarebbe dovuta uscire dal processo. Noi non abbiamo accettato, perché siamo una famiglia, andiamo avanti e chiediamo giustizia, supportate da tante persone che ci sono vicine, che come noi entrano in aula per assistere al processo”. Tra loro, si segnalano tanti delegati Rsu del Veneto, a cominciare da quelli dell’Electrolux di Susegana (vicino a Treviso), da sempre attentissimi al tema della sicurezza.
Mentre la sua vita procede tra alti e bassi, più bassi che alti, in tanti le hanno detto che, comunque vada, nessuno degli imputati vedrà mai aprirsi le porte del carcere, ma che finiranno col pagare un risarcimento stabilito da tabelle. “Ma come è possibile questo? – si domanda la mamma di Mattia – E come è possibile che per la giurisprudenza di un paese civile la vita di un giovane operaio valga molto meno di quella del suo titolare, di un industriale, di un ingegnere? La giustizia italiana deve punire questi omicidi con pene severe. Deve essere introdotto il reato di omicidio sul lavoro. Quando il datore di lavoro, con negligenza, non preserva dal rischio i propri lavoratori fino ad essere responsabile della loro fine, deve pagare con il carcere. E se qualcuno mi chiede il perdono, io rispondo di no”.
Nel frattempo, le ditte coinvolte negli omicidi di lavoro, spesso continuando a trascurare la sicurezza, continuano a lavorare come se nulla fosse accaduto. Vi sono poi infortuni e infortuni. A volte, soprattutto in eventi che assumono il carattere di strage, i riflettori si accendono, i parlamentari interrogano e si interrogano, si chiede a gran voce che tutto ciò non possa più succedere, ma poi panta rei, tutto scorre, come diceva il filosofo greco Eraclito. E vi sono morti dimenticati, relegati in un paio di colonne di cronaca locale. “Ma nella guerra del profitto tutti i morti restano nel cuore delle loro famiglie, e sono solo tra chi lavora. Per questo abbiamo fondato un’associazione in memoria di Mattia, ci battiamo in assemblee e in iniziative pubbliche, affinché la sicurezza sul lavoro sia un valore prima ancora che un dovere”, dice mamma Monica, quando ormai il pianto riesce a farsi strada sulla sua voce. “La vita è una canzone, cantala. La vita è una lotta, accettala. La vita è un’opportunità, coglila. La vita è bella, ammirala. La vita è un sogno, realizzalo”. Sono le parole di Madre Teresa, riprese dalla mamma di Mattia, prima di rivolgersi un’ultima volta alla platea: “Venite tutti alla prossima udienza”, il 13 gennaio 2025 a Treviso.
L’assemblea dei lavoratori Same, dopo qualche istante di silenzio impietrito, si alza in piedi e si scioglie in un lungo, lunghissimo applauso.
Davide Vasconi
Pubblicato il 6 Agosto 2024