“Sciopero generale per il contratto della sanità pubblica”
CCNL è l’acronimo di “contratto collettivo nazionale del lavoro”. Si tratta quindi di una forma di contrattazione patteggiata tra le organizzazioni che rappresentano ufficialmente i dipendenti, ovvero i sindacati o le associazioni dei lavoratori, e quelle che rappresentano invece le aziende. Nel caso dei dipendenti pubblici, invece, è l’ARAN a rappresentare la Pubblica Amministrazione.
Va poi specificato che esistono due livelli di contrattazione collettiva. La contrattazione di primo livello viene applicata su tutto il territorio nazionale attraverso CCNL e AI (accordi interconfederali), mentre la contrattazione di secondo livello vale soltanto in ambito territoriale o aziendale.
Ma i lavoratori della Sanità, a cui è scaduto il contratto il 31 dicembre 2021 e che quindi aspettano il rinnovo contrattuale per il triennio 2022-2024, sanno che cosa stanno contrattando i sindacati? Sono stati coinvolti attivamente, tramite assemblee nei luoghi di lavoro, per discutere le proposte per il rinnovo del contratto?
Dall’ultimo rapporto GIMBE sulla sanità pubblica emerge un quadro drammatico riguardo al personale sanitario: “La sanità pubblica sta sperimentando una crisi del personale sanitario senza precedenti, inizialmente dovuta al definanziamento del SSN e ad errori di programmazione e oggi, dopo la pandemia, è aggravata da una crescente frustrazione e disaffezione per il SSN. Turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate ed escalation dei casi di violenza stanno demolendo la motivazione e la passione dei professionisti, portando la situazione verso il punto del non ritorno”.
I dati raccolti da organizzazioni sindacali e di categoria documentano inoltre il progressivo abbandono del SSN: secondo la Fondazione ONAOSI, tra il 2019 e il 2022, il SSN ha perso oltre 11.000 medici per licenziamenti o conclusione di contratti a tempo determinato e ANAAO-Assomed stima ulteriori 2.564 abbandoni nel primo semestre 2023.
L’Italia dispone complessivamente di 4,2 medici ogni 1.000 abitanti, un dato superiore alla media OCSE (3,7), ma sta sperimentando il progressivo abbandono del SSN e carenze selettive: oltre ai medici di famiglia, alcune specialità mediche fondamentali non sono più attrattive per i giovani medici, che disertano le specializzazioni in medicina d’emergenza -urgenza, medicina nucleare, medicina e cure palliative, patologia clinica e biochimica clinica, microbiologia, e radioterapia.
Ma la crisi è ancora più acuta per il personale infermieristico: nonostante i crescenti bisogni, anche per la riforma dell’assistenza territoriale, il numero di infermieri è largamente insufficiente e, soprattutto, le iscrizioni al corso di laurea sono in continuo calo, con sempre meno laureati. Con 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, l’Italia è ben al di sotto della media OCSE (9,8), collocandosi tra i paesi europei con il più basso rapporto infermieri/medici (1,5 a fronte di una media europea di 2,4). Inoltre, nel 2022 i laureati in Scienze Infermieristiche sono stati appena 16,4 per 100.000 abitanti, rispetto ad una media OCSE di 44,9, lasciando l’Italia in coda alla classifica prima solo del Lussemburgo e della Colombia. Per l’Anno Accademico 2024-2025 sono state presentate 21.250 domande per il Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche a fronte di 20.435 posti, un dato che dimostra la mancata attrattività di questa professione.
In sintesi, l’ultima giornata di trattative per il rinnovo del CCNL Sanità, a fine settembre, ha visto i sindacati ribadire la loro insoddisfazione per le risorse disponibili, chiedendo interventi più incisivi per migliorare le condizioni economiche e professionali del personale sanitario. Hanno sottolineato l’urgenza di valorizzare adeguatamente le competenze e il ruolo del settore, presentando richieste specifiche e programmando una mobilitazione. Questo malcontento, crescente e non ascoltato, si confronta con il Governo che si appresta a definire la manovra di bilancio.
La proposta di stanziamento del Governo Meloni è una miseria (aumento del 6%), a fronte di una perdita del potere di acquisto del 9% e dell’inflazione che non appare sotto controllo. Gli aumenti contrattuali saranno dunque ridicoli, tanto più al cospetto degli stipendi del personale sanitario europeo.
Si continua a chiedere di lavorare di più senza alcun aumento delle indennità, ferme da decine di anni; nessun miglioramento professionale è in vista, a fronte di un aumento dei carichi di lavoro e delle responsabilità in una categoria che dovrebbe essere considerata usurante.
Dunque, perché non iniziare da subito una forte mobilitazione con la proclamazione di uno sciopero generale? Coinvolgendo tutti i lavoratori degli altri settori e non una semplice e banale manifestazione di sabato a Roma. E perché non diciamo nulla contro le varie proposte di aumento dell’età pensionabile, che aggraverebbero ancora di più un sistema già al collasso con personale sanitario con una età media alta e che non vede l’ora di andare in pensione?
Giuseppe Saragnese
Infermiere Asst-pg23, Bergamo
Direttivo Fp-Cgil Bergamo, area ‘Le Radici del Sindacato’
Pubblicato il 29 Ottobre 2024