Se il profitto non è più un tema sociale

L’intervento di Cinzia Colaprico, Rsu Electrolux, all’attivo regionale dei delegati Fiom del 18 settembre

Il contratto nazionale si tiene “in una cornice di vincoli stringenti di accordi confederali entro cui si dovrebbe muovere”: recito dal patto della fabbrica, firmato da sindacati e Confindustria.

Dunque, il trattamento economico complessivo, in sigla TEC, sarà costituito dal trattamento economico minimo, TEM (“Il contratto collettivo nazionale di categoria individuerà i minimi tabellari per il periodo di vigenza contrattuale, intesi quali trattamento economico minimo”), e da tutti quei trattamenti economici nei quali, limitatamente a questi fini, sono da ricomprendere fra gli altri anche le eventuali forme di Welfare che il contratto collettivo nazionale di categoria qualificherà come “comuni a tutti i lavoratori del settore”, a prescindere dal livello di contrattazione a cui vengono affidati. Dovendosi, comunque, disciplinare, per i medesimi trattamenti, gli eventuali effetti economici in sommatoria fra il primo e il secondo livello di contrattazione collettiva.

La variazione dei valori del TEM (minimi tabellari) “avverrà – secondo le regole condivise, per norma o prassi, nei singoli CCNL – in funzione degli scostamenti registrati nel tempo dall’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i paesi membri della Comunità europea, depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati come calcolato dall’Istat (IPCA)”.

Questo modello di regole vigente, costruito esplicitamente per tenere bassi i salari e funzionale a una bassa inflazione, e più in generale per costruire una competitività sul basso costo del lavoro (inferiore al 30% dei paesi più sviluppati dell’OCSE), si è dimostrato efficace per le imprese, già prima della crisi inflazionistica del 2021-2023: si è rivelato un sistema utile per abbassare il potere di acquisto dei lavoratori e favorire la competitività del paese, tanto che l’Italia è l’unico paese che ha visto i salari scendere, invece che crescere (come invece è avvenuto in tutta Europa) e per di più per accordo sindacale, unico caso al mondo.

Anche per questo non ci sono spinte verso proteste all’altezza della tragedia che i lavoratori vivono. Con la fiammata, il fenomeno è esploso e nessuna correzione al sistema è stata adottata, neanche per le categorie di lavoratori che vedevano, ora come allora, i contratti fermi da anni.

Ciò rende non utile il sistema contrattuale del Paese, perché tali regole valgono solo per i lavoratori, e non valgono per i profitti né per le imprese. Non c’è nessun legame tra profitti e salari. Infatti, la contrattazione di secondo livello non solo non è obbligatoria, ma non esiste alcun legame tra valore prodotto nelle imprese e la sua redistribuzione, né in alto (con il contratto nazionale) né in basso (con i contratti aziendali), né con la contrattazione privata dei lavoratori. È come se il profitto e la sua distribuzione non fosse tema sociale e sindacale.

In questo breve lasso di tempo c’è stata la peggiore caduta del potere d’acquisto dei lavoratori salariati, molti dei quali oggi beneficiano soltanto dei minimi contrattuali, in assenza dei rinnovi dei contratti nazionali che slittano di anni senza rispetto delle imprese al pieno recupero di quanto perso, fosse anche l’IPCA (indice dei prezzi depurato).

Questa è la realtà. E noi metalmeccanici? Abbiamo perso meno degli altri, sia per un maggior rispetto dei rinnovi, anche se con qualche slittamento, sia per il sistema del recupero automatico dell’IPCA depurato.

Resta il fatto che, anche così, i salari sono scesi in relazione al costo della vita, cioè all’inflazione che non viene recuperata integralmente, come i dati di questi anni dimostrano. Anche la contrattazione di secondo livello ha perso slancio e forza economica. Nello stesso periodo le imprese hanno aumentato gli utili e la ricchezza si è concentrata in sempre meno persone.

Il sistema di relazioni economico-sindacali non funziona, ma nessuno, nel sindacato, lo dice più. È anche questo che ci affossa. Il nostro contratto nazionale è dentro questo ‘trip’: le richieste per questa tornata, con una positiva interpretazione, sono maggiori di quanto darebbe l’applicazione pura del modello, tanto più a previsioni inflattive calanti, ma, per l’appunto, sono solo richieste; e visto che non si dice che sono richieste in contrasto e violazione del modello, ma anzi coerenti, sono complicate da realizzare, se pur considerate dai lavoratori modeste su previsione di aumenti pluriennali (280 euro lordi in tre o più anni).

Concludo con due richiami normativi. Nel contratto nazionale precedente – costruito dicendo che avrebbe favorito la formazione permanente di cui ci siamo fatti un vanto – per i lavoratori studenti universitari è stato introdotto il divieto di usufruire delle 150 ore di studio, compreso l’impedimento a fruire dei due giorni di preparazione degli esami che precedono l’esame stesso. Le 150 ore si possono usare soltanto si frequentano i corsi universitari; ma i corsi delle università pubbliche sono concentrati al mattino in orario di lavoro e, comunque, con 150 ore in tre anni non si può certo garantire la frequenza universitaria. Tranne, guarda caso, quella nelle università private, che organizzano corsi online (lasciando perdere la qualità) a qualsiasi ora; con le aziende che accettano le certificazioni di presenza rilasciati da queste università. Tradotto: il sistema costruito nel contratto dei metalmeccanici, e applicato dalle aziende compresa Electrolux, permette di fatto di frequentare le università soltanto se private. L’operazione è evidentemente orchestrata da Confindustria, a cui queste stesse società sono iscritte.

Colpisce dunque che il sindacato abbia snaturato così il diritto allo studio, sottoscrivendo un accordo con tali caratteristiche. Quando ho chiesto alla Fiom nazionale se le cose stessero effettivamente così, dopo una verifica mi hanno fatto capire che non ci sarebbe stato nulla da fare per contrastare una simile deriva. Eppure, questa discriminazione verso chi non si può permettere le costose scuole private andrebbe eliminata, per restituire il diritto di studio a tutti i lavoratori interessati ad esigerlo.

Segnalo infine che il collegio statutario Cgil, massimo organo di garanzia della nostra organizzazione, ha sentenziato, su un ricorso dei delegati RSU Fiom di Forlì, che il monte ore che l’azienda trasmette all’Organizzazione va dalla stessa girata alla RSU, così come trasmesso. Da mesi chiediamo di adempiere alla sentenza, ma la Fiom di Forlì, immagino in accordo con quella regionale, rifiuta tale adempimento, anche dopo vari solleciti. Questo per dire in che stato ci troviamo, se neanche le sentenze della nostra stessa Cgil vengono rispettate, quelle rare volte che danno ragione ai lavoratori contro comportamenti della struttura sindacale. Così non va…

Cinzia Colaprico

Delegata Rsu Fiom-Cgil Electrolux Forlì, Area ‘Le Radici del Sindacato’ CGIL

Pubblicato il 25 Settembre 2024