Sicurezza: per una mobilitazione non episodica
Dal modello contrattuale all’italiana, tracciato dallo Statuto dei Lavoratori come soluzione principale ad un problema etico, prima ancora che del lavoro, e cioè la salvaguardia della salute e della vita stessa – come ripreso dall’art. 35 della Costituzione e come diritto indisponibile del datore di lavoro – si è detto nel nostro articolo che apre questo numero di Progetto Lavoro. Abbiamo provato ad evidenziare come abbia rappresentato un modello in Europa, come abbia prodotto esempi e buone pratiche, come abbia migliorato la situazione in particolare nelle imprese medio grandi e sindacalizzate. Ma oggi vanno sottolineati tutti i suoi limiti, di fronte alla realtà frammentata e precarizzata dovuta alla legislazione sul lavoro di impianto neoliberista messa in piedi a partire da fine anni Novanta, anche da cosiddetti governi di centrosinistra, ispirati certo più dall’astro nascente di Tony Blair che da Di Vittorio.
Arriviamo così alla seconda parte della nostra storia, quando dalla legge 626 in poi si sono articolate normative sempre più perfezionate. Ma ad esse non hanno corrisposto istituzioni adeguate: e non si è fatta “la giustizia”.
La salute e la sicurezza devono diventare un vincolo per esercitare l’attività di impresa. Non si tratta soltanto di presenza e di controlli, di certezza delle sanzioni e di severità delle pene. L’istituzione del cosiddetto reato di omicidio sul lavoro appare una certamente legittima pretesa di giustizia, di fronte all’eventualità della semplice e lieve condanna per omicidio colposo o di lesioni colpose, magari per un datore di lavoro che ha consapevolmente anteposto il profitto alla salvezza, ma arriva comunque quando è troppo tardi; e di per sé non rappresenta la soluzione definitiva. Così come il codice rosso o la prospettiva di un ergastolo non fermano un femminicida, la risposta deve essere più articolata e complessa, ed è necessario il contributo di tutti.
La normativa tracciata dal D. Lgs,vo 81/2008, ed anche dai criteri di delega contenuti nella legge 123/2007, riconosce ampiamente il contributo delle parti sociali in molte delle aree di interesse. E allora è qui che bisogna lavorare: indirizzo e valutazione delle politiche di prevenzione, sistema informativo, appalti e sistema di qualificazione delle imprese, modelli di organizzazione delle imprese, formazione, intervento nel processo penale. Pensiamo solo alla figura del Rappresentante Lavoratori alla Sicurezza territoriale e agli organismi paritetici da cui dipende. Pensiamo anche solo al suo ruolo nella prevenzione, con i suoi compiti promozionali, di sensibilizzazione e di assistenza tecnico/organizzativo alle imprese. E allora è qui che bisogna intervenire, ed anche la Cgil deve fare la sua parte, dal momento che in molti territori quelle figure risultano non operative, od operative in modo fittizio.
La patente a punti corrisponde ad una precisa richiesta sindacale, è vero. Ma, per ciò che se ne sa, non è ben chiaro perché il sistema debba valere soltanto per i cantieri edili. E soprattutto risulta inaccettabile l’ipotesi di annullare la sospensione della licenza, fatto peraltro già previsto teoricamente per gravi inadempienze in materia di igiene e sicurezza, in caso di frequentazione di un apposito corso. Se ciò è previsto per recuperare punti sulla propria patente stradale, e se non c’è corso che tenga di fronte alla possibilità di tornare alla guida della propria auto in caso di omicidio stradale, lo stesso principio dovrebbe valere anche per le vittime sul lavoro.
Quanto al corso da frequentare, si passa poi ad un altro punto dolente. Spesso basta solo pagare, e neanche tanto, per la cosiddetta formazione, se si considera che anche in Fiera Ambiente Lavoro vengono a Bologna venduti corsi per la formazione ad alto rischio a 5 euro l’uno a pacchetti di cento, pre-registrati e disponibili on line, ovviamente senza interazione con il docente, e certificati da un ente bilaterale “di fiducia”. Si tratta di attestati praticamente falsi, quando invece nel panorama attuale servono “adeguata formazione, diritto alla formazione continua, corsi integrativi nelle scuole superiori”. Perchè il secondo livello di controllo appartiene agli RLS o ai preposti, e il terzo all’organismo di vigilanza. Ma il primo livello di controllo deve partire dal lavoratore stesso.
Ed infine, subappalti, dumping contrattuale e dintorni. Anche se nel settore pubblico sono stati resi possibili, dalla legge 78/2022, i costi del lavoro, che “(…) sono scorporati dall’importo soggetto al ribasso”. Vi è dunque una pur minima garanzia che il ribasso complessivo dell’importo non derivi da un peggioramento sul trattamento contrattuale, ma magari da un’organizzazione più efficiente, o dalla riduzione del margine di profitto dell’impresa. Anche gli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di igiene e sicurezza devono essere indicati chiaramente, a pena di esclusione; e, almeno sulla carta, sono una variabile indipendente.
Il fatto che tutto ciò non si applichi nel settore privato, e non solo sui cantieri edili, rappresenta un’inaccettabile discriminazione tra lavoratori, una spinta allo sfruttamento e una bomba a orologeria, in materia di sicurezza, di cui sono vittime le fasce deboli del mercato del lavoro, soprattutto i lavoratori anziani e gli stranieri di recente immigrazione. L’incidenza degli infortuni mortali, secondo l’osservatorio dell’associazione ‘Ruggero Toffolutti’ di Bologna, è più che doppia negli ultrasessantacinquenni (138,6) rispetto alla fascia 55-64 anni (60,4). A Firenze 4 vittime su 5 erano stranieri. Tutto torna, purtroppo.
Davide Vasconi
Pubblicato il 9 Aprile 2024